
La collera di Gesù
di don Silvio Longobardi
Dal Vangelo secondo Marco (Mc 10,13-16)
In quel tempo, presentavano a Gesù dei bambini perché li toccasse, ma i discepoli li rimproverarono. Gesù, al vedere questo, s’indignò e disse loro: «Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite: a chi è come loro infatti appartiene il regno di Dio. In verità io vi dico: chi non accoglie il regno di Dio come lo accoglie un bambino, non entrerà in esso». E, prendendoli tra le braccia, li benediceva, ponendo le mani su di loro.
Il commento
“Gesù, al vedere questo, s’indignò” (10,14). Una reazione piuttosto energica, almeno nel racconto di Marco. Nei brani paralleli, gli altri due evangelisti si limitano a riportare le parole di Gesù senza accennare alla durezza del rimprovero. Il verbo indignarsi [aganakteō] descrive una situazione interiore di collera, rivela una decisa opposizione del Maestro rispetto alla condotta dei discepoli. Troviamo lo stesso verbo anche in relazione ai discepoli: quando si scontrano con la richiesta di Giacomo e Giovanni di avere i primi posti (Mc 10,41) o quando giudicano come un spreco il profumo che la donna versa sui piedi di Gesù (Mc 14,4). Nei vangeli è l’unica volta in cui questo verbo è attribuito a Gesù. La reazione appare forse esagerata: perché appare così sdegnato? Non è forse eccessivo questo atteggiamento se pensiamo che i discepoli in fondo intendevano proprio tutelare il Maestro? Lo sdegno è accompagnato dall’invito: “Lasciate che i bambini vengano a me. non glielo impedite” (10,14). Matteo ha solo la prima parte della frase, Marco e Luca invece rafforzano il comando con un altro imperativo. L’espressione venire a me [érchesthai pros me] indica il movimento della fede. La frase perciò non può essere letta semplicemente nella linea della relazionalità affettiva ma deve essere interpretata nella luce della fede come un invito a favorire quel cammino interiore che, se non trova ostacoli, conduce l’uomo a incontrare Dio. Questa lettura trova conferma nella successiva spiegazione dell’invito: “a chi è come loro, infatti, appartiene il regno di Dio” (10,14). I bambini sono qui presentati come modello del discepolo, come coloro che sono più degli altri docili alla voce di Dio. La pagina evangelica descrive un fatto che agli occhi dei discepoli ha assunto un valore emblematico. Qui si parla dei bambini ma il criterio che offre Gesù può e deve essere letto in relazione ai piccoli e ai grandi. Tutti hanno diritto di incontrare quel Dio che si è fatto uomo per riempire di gioia la vita dell’uomo.
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