
Quelli che non chiedono
di don Silvio Longobardi
Dal Vangelo secondo Marco (Mc 11,27-33)
[In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli andarono di nuovo a Gerusalemme. E, mentre egli camminava nel tempio, vennero da lui i capi dei sacerdoti, gli scribi e gli anziani e gli dissero: «Con quale autorità fai queste cose? O chi ti ha dato l’autorità di farle?». Ma Gesù disse loro: «Vi farò una sola domanda. Se mi rispondete, vi dirò con quale autorità faccio questo. Il battesimo di Giovanni veniva dal cielo o dagli uomini? Rispondetemi». Essi discutevano fra loro dicendo: «Se diciamo: “Dal cielo”, risponderà: “Perché allora non gli avete creduto?”. Diciamo dunque: “Dagli uomini”?». Ma temevano la folla, perché tutti ritenevano che Giovanni fosse veramente un profeta. Rispondendo a Gesù dissero: «Non lo sappiamo». E Gesù disse loro: «Neanche io vi dico con quale autorità faccio queste cose».
Il commento
“Con quale autorità [exousía] fai queste cose? O chi ti ha dato l’autorità di farle?” (11,28). Il Vangelo ci porta negli ultimi giorni della vita terrena di Gesù, segnati da un crescente conflitto con scribi e farisei. Un conflitto apparentemente rispettoso nella forma ma che nasconde un’intolleranza che ben presto si manifesterà nella forma più drammatica. Proprio come avviene oggi. I cristiani sono sempre meno tollerati e sempre più osteggiati. Gesù insegna nel Tempio di Gerusalemme. La sua parola attira consenso tra il popolo ma si scontra con il rifiuto delle autorità religiose. La domanda che essi pongono non è peregrina ma coglie il punto sostanziale della vicenda di Gesù. Il Rabbì di Nazaret, infatti, non si limita a ripetere quello che ha ricevuto dalla tradizione, il suo insegnamento presenta tratti di originalità e offre un’interpretazione nuova dell’antica Legge. La domanda perciò è doverosa, i capi religiosi vogliono sapere in nome di chi egli parla. Una richiesta in apparenza legittima che però nasce da un sostanziale scetticismo, anzi dalla certezza che Gesù sia un elegante impostore, si presenta come depositario della Legge antica, in realtà la cambia in modo sostanziale. Una domanda dunque legittima sul piano formale ma anche carica di un’insopportabile ipocrisia: nel corso del suo breve ministero, infatti, Gesù ha dato tante e tante prove che la sua missione era di origine divina. I numerosi prodigi che ha compiuto – e che nessuno poteva negare – testimoniavano piuttosto chiaramente che egli agiva in nome di Dio. Gli umili lo riconoscevano e lo acclamavano come figlio di Davide, il Messia promesso dai profeti. Come fa il cieco di Gerico (10,47).
Quelli che si credono sapienti, e pensano di sapere già tutto, si chiudono alla luce e chiedono chiarimenti che in realtà non sono disposti ad accettare. Gesù non risponde alla domanda, non dialoga con quelli che hanno il cuore indurito: “Neanche io vi dico con quale autorità faccio queste cose” (11,33). Oggi chiediamo la grazia di appartenere alla categoria degli umili che credono e non chiedono altre dimostrazioni e altri segni.
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