
Una veste nuova
di don Silvio Longobardi
Dal Vangelo secondo Marco (Mc 12,18-27)
In quel tempo, vennero da Gesù alcuni sadducei – i quali dicono che non c’è risurrezione – e lo interrogavano dicendo: «Maestro, Mosè ci ha lasciato scritto che, se muore il fratello di qualcuno e lascia la moglie senza figli, suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello. C’erano sette fratelli: il primo prese moglie, morì e non lasciò discendenza. Allora la prese il secondo e morì senza lasciare discendenza; e il terzo egualmente, e nessuno dei sette lasciò discendenza. Alla fine, dopo tutti, morì anche la donna. Alla risurrezione, quando risorgeranno, di quale di loro sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie». Rispose loro Gesù: «Non è forse per questo che siete in errore, perché non conoscete le Scritture né la potenza di Dio? Quando risorgeranno dai morti, infatti, non prenderanno né moglie né marito, ma saranno come angeli nei cieli. Riguardo al fatto che i morti risorgono, non avete letto nel libro di Mosè, nel racconto del roveto, come Dio gli parlò dicendo: “Io sono il Dio di Abramo, il Dio di Isacco e il Dio di Giacobbe”? Non è Dio dei morti, ma dei viventi! Voi siete in grave errore».
Il commento
“Vennero da lui alcuni sadducei – i quali dicono che non c’è risurrezione – e lo interrogavano” (12,18). Non è una domanda capziosa, la questione che essi pongono appartiene ad un dibattito teologico che, almeno mi pare, sia ancora oggi molto vivo nell’ebraismo. Gesù è riconosciuto come un Rabbì che interpreta con autorità la Scrittura. Per questo i sadducei gli chiedono di esprimere la sua opinione sulla resurrezione dei morti. La domanda ha una costruzione logica e una conclusione scontata: parte dal precetto del levirato per dimostrare l’inconsistenza della fede nella resurrezione. Gesù non entra nella casistica ma non si sottrae al dibattito, non cerca una fragile mediazione, un impossibile accordo. Anzi, la sua risposta diventa un vero atto di accusa: “siete in errore, non conoscete le Scritture né la potenza di Dio?” (12,24). I sadducei non si lasciano davvero interrogare dalla Scrittura ma cercano nella pagine bibliche una conferma alla loro dottrina. Per questo usano un precetto, nato per offrire una protezione sociale alla donna rimasta vedova, come premessa per chiudere le porte alla verità più importante, quella che annuncia che oltre le nebbie e le fatiche di questa vita, c’è un Dio che ci attende, c’è un’altra vita. Gesù non si limita a rimproverare ma interpreta con autorità la Parola. Negare la resurrezione significa negare Dio stesso. Egli annuncia che l’alleanza con Dio non può essere confinata solo nei sentieri di questa vita. Colui che la Scrittura presenta come “il Dio di Abramo e il Dio di Isacco e il Dio di Giacobbe” (12,26), non può abbandonare i suoi amici nella morte ma dona loro una veste nuova. La Scrittura presenta Dio come “il Vivente”, Colui che ha la vita in se stesso e vive in eterno. Chi entra nella sua amicizia, diventa partecipe della sua stessa vita. Per questo non può morire. La Parola di Gesù è solo un annuncio che troverà compimento nella sua resurrezione che diventa così il vero crinale della storia, la porta che c’introduce nella vita senza fine.
Nessun commento per “Una veste nuova”