
Quelli che non sanno nulla
di don Silvio Longobardi
Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 11,25-27)
In quel tempo, Gesù disse: «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo».
Il commento
“… hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli” (11, 25). Dopo l’iniziale entusiasmo, la predicazione di Gesù incontra una crescente diffidenza. Il Nazareno non sembra affatto sorpreso anzi legge questi eventi come una conferma che la storia di Dio non passa attraverso i filosofi e gli esperti, quelli che credono di sapere, ma attraverso il popolo degli umili, quelli che sanno di non sapere né non pretendono di spiegare tutto ma si aprono con docilità alla grazia e accolgono la luce che viene dal Cielo. Quante volte la razionalità diventa un muro che impedisce di vedere il Cielo. La fede è alleata con la ragione ma non si misura con la ragione. La ragione cerca il bene possibile, la fede insegna che tutto è possibile a Dio. Dare ragione della propria fede non significa ricondurre la fede nei limiti della ragione. Il Vaticano II ricorda che non basta l’intelligenza, abbiamo bisogno di quella sapienza che conduce l’uomo dalle cose visibili a quelle invisibili. E lancia un ammonimento: “L’epoca nostra, più ancora che i secoli passati, ha bisogno di questa sapienza, perché diventino più umane tutte le sue scoperte” (Gaudium et spes, 15). È in gioco il destino dell’umanità.
Diventare piccoli significa non calcare la scena, restare comodamente al proprio posto, anche dietro le quinte se necessario. Ma nella logica evangelica sono proprio i piccoli che svelano la grandezza di Dio perché solo Lui può dare loro intelligenza, forza e coraggio per compiere opere che altrimenti sarebbero rimaste nel cassetto. Si diventa grandi nella misura in cui impariamo a farci piccoli. Teresa di Lisieux appartiene a questa categoria, anzi è quella che ha fatto della piccolezza il cuore della sua spiritualità. Quando entra in monastero porta già nel cuore il desiderio di essere come un granello di sabbia, nascosto e calpestato. Ma più avanza più comprende il valore della piccolezza, fino a scrivere: “Ciò che gli piace è di vedermi amare la mia piccolezza e la mia povertà, è la cieca speranza che io ho nella sua misericordia…” (LT 197, 17 settembre 1896). È questa la via che anche noi vogliamo percorrere.
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