
Il tempo del giudizio
di don Silvio Longobardi
Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 13,47-53)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Ancora, il regno dei cieli è simile a una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesci. Quando è piena, i pescatori la tirano a riva, si mettono a sedere, raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via i cattivi. Così sarà alla fine del mondo. Verranno gli angeli e separeranno i cattivi dai buoni e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti. Avete compreso tutte queste cose?». Gli risposero: «Sì». Ed egli disse loro: «Per questo ogni scriba, divenuto discepolo del regno dei cieli, è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche». Terminate queste parabole, Gesù partì di là.
Il commento
Il regno dei cieli è simile a una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesci” (13,47). Sono sette le parabole del Regno che troviamo nel Vangelo di Matteo. Un numero non casuale. La prima è quella del seminatore, la settima è quella della rete gettata in mare. La parabola del seminatore presenta l’immagine di un Dio che opera instancabilmente per seminare la Parola e di una Chiesa che annuncia e testimonia il Vangelo. L’ultima parabola richiama il giudizio finale, il momento ultimo che sigilla la storia. Mi pare allora di vedere una sorta di cammino. Il seminatore è icona di quell’impegno che attraversa la storia, la parabola della rete c’invita a fissare lo sguardo sul termine ultimo della storia. Questi due poli sono presenti anche nella parabola odierna. La rete, infatti, che raccoglie “ogni genere di pesci”, fa pensare alla storia, segnata da luci e tenebre che s’intrecciano e spesso si confondono nella stessa persona. Ma questa è solo la premessa dell’insegnamento evangelico che trova il suo climax nell’annunciare che verrà il tempo in cui bisogna tornare a riva per verificare quanto è stato raccolto. In altre parole, il tempo in cui la storia giunge al compimento e tutti saranno sottoposti al giudizio di Dio. Come i pescatori sono soliti dividere i pesci buoni da quelli cattivi, così faranno gli angeli. Quelli che non sono ritenuti degni del Regno, saranno gettati “nella fornace ardente dove sarà pianto e stridore di denti” (13,50). Dinanzi a questa drammatica conclusione restiamo stupiti e disorientati: come può Colui che è eterno Amore “condannare” gli uomini all’eterno dolore? Più che una condanna, si tratta della sofferta risposta di Dio alla creatura che ostinatamente ha chiuso il cuore. Rimane comunque un mistero. Se è già difficile concepire la pienezza dell’amore, resta ancora più incomprensibile pensare ad un dolore senza fine. La coscienza del giudizio ultimo non genera ansietà ma aumenta la vigilanza e la responsabilità. Ed è quello che oggi chiediamo.
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