CORRISPONDENZA FAMILIARE

Di Silvio Longobardi

Luigi Martin: il tempo della vedovanza

20 Agosto 2018

Luigi Martin

Cosa accade quando nel matrimonio uno dei due conclude la sua esistenza terrena? Il dolore dilaga insieme alla solitudine. Oggi, nel suo blog, don Silvio presenta la testimonianza di un uomo santo che ha fatto del tempo della vedovanza lo spazio dove vivere in pienezza la chiamata al matrimonio e all’essere padre.

Cari amici,
nella vita di ogni coppia c’è il tempo della sinfonia coniugale e il tempo della vedovanza, il tempo in cui gli sposi, mano nella mano, s’impegnano a camminare insieme nelle vie di Dio e quello in cui la morte costringe a vivere una solitudine che nessuno vuole.

La sinfonia coniugale che Luigi e Zelia hanno vissuto termina, in apparenza, all’alba del 28 agosto 1877, quando M.me Guérin chiude gli occhi alla vita terrena. Tutta la famiglia Martin è raccolta attorno al letto su cui giace il corpo senza vita di Zelia. Anche le figlie più piccole. Inizia per Luigi il tempo oscuro e doloroso della vedovanza. Luigi si trova solo con cinque figlie, tutte ancora minorenni, le ultime due ancora troppo piccole per capire e assorbire un dolore così grande. La strada non è mai stata facile ed è stata anche attraversata da non poche prove ma ora … appare tutta in salita. Più che un cammino è una scalata. Ma, quel che è peggio, una scalata che deve affrontare da solo. Luigi ha 54 anni ed ha vissuto 19 anni di vita coniugale. È vero, come scriveva la stessa Zelia, pensando alla sua morte, che la primogenita Maria “è grande, ha un carattere molto, molto serio e non ha nessuna delle illusioni della gioventù, sarà una buona padrona di casa e farà tutto il possibile per allevare bene le sue sorelline e dar loro il buon esempio” (17 dicembre 1876). Ed è vero anche che le due più piccole, Celina e Teresa, sono di una straordinaria amabilità. Ma si tratta pur sempre di accudire una famiglia numerosa e di accompagnare alla piena maturità cinque figlie.

Alla morte di Zelia molte persone, e tra queste anche il suo confessore, consigliarono a Luigi di mandare le figlie in collegio e di restare ad Alençon, dove poteva contare sulla presenza di tanti amici. Queste raccomandazioni non mancavano di buone ragioni, in fondo le figlie erano ancora tutte minorenni, la più grande aveva 17 anni e la più piccola 4 anni e mezzo. Come poteva egli da solo prendersi cura di loro? Se fosse restato, avrebbe certamente trovato un valido aiuto per l’educazione delle sue figlie. In realtà, fu proprio il bene delle figlie che lo convinse a lasciare ogni altra attività per dedicarsi interamente alla loro educazione. Egli sapeva che, avendo perso una madre in così giovane età, avevano bisogno di un padre a tempo pieno. Una delle figlie, Celina, scrive: “l’amore delle sue figlie vinceva tutto in lui, voleva il loro bene, il loro più grande bene, senza mettere il suo sulla bilancia”.

Questa scelta, unita quella di non risposarsi, fu davvero saggia perché ha dato alle figlie la possibilità di crescere assieme al padre e di custodire il ricordo sempre vivo della madre. Tutto questo permette loro di raggiungere l’età adulta in un clima di sostanziale serenità, senza subire i contraccolpi di quella morte sopraggiunta troppo presto.

Luigi non ebbe bisogno di molto tempo per decidere. Pochi giorni furono sufficienti per compiere una scelta che, a dire il vero, era difficile e onerosa. Durante il tempo della malattia della moglie egli aveva avuto modo di riflettere coscienziosamente. È assai probabile che ne abbia parlato anche con la sua sposa, come appare da un accenno che Zelia scrive alla cognata un mese prima della morte: “Quando a venire a stabilirsi a Lisieux, mio marito non dice né sì né no: bisogna lasciare passare il tempo” (LF 213, 15 luglio 1877). Chi ama non obbliga, si limita a presentare le sue esigenze, lasciando all’altro il tempo di maturare. È un’arte che Zelia conosce e applica molto bene.

Chi vive in Dio trova più facilmente la strada da percorrere perché non si chiude nelle sue ragioni, anzi è pronto a rinnegarle per far vincere unicamente la carità. Pochi giorni dopo la morte della moglie, domanda il parere alle figlie maggiori e quando comprende che esse non hanno alcuna difficoltà a trasferirsi a Lisieux, anzi sono ben contente di raggiungere gli zii e le cugine. A questo punto non dubita un solo istante, chiede al cognato di trovare una casa adatta alle esigenze della sua famiglia: il 19 settembre si reca a Lisieux per firmare il contratto di locazione; a metà novembre fa partire le figlie, pochi giorni dopo chiude tutti i contratti lavorativi dell’azienda familiare e lascia definitivamente la città della sua infanzia e della sua giovinezza.

Questa scelta non solo risponde ad un’esigenza educativa ma manifesta ancora una volta – e in modo ancora più bello – quella profonda unità che i coniugi Martin avevano saputo costruire lungo gli anni. Dando il suo consenso Luigi accoglie una proposta che la sua sposa aveva caldeggiato con quella delicatezza tutta femminile che sa chiedere senza imporre. Egli riconosce nel desiderio di Zelia la volontà di Dio e s’impegna a corrispondere con quella totalità che ha caratterizzato tutta la sua vita. Alla luce dell’esperienza successiva, possiamo dire che questa scelta è stata lungimirante ed ha certamente contribuito a far crescere l’intera famiglia.

È un altro capitolo di questa vita santa. Un capitolo doloroso ma non per questo meno fecondo. Oggi vi invito a pregare per gli sposi che vivono il tempo della vedovanza perché sappiano custodire l’unità coniugale nell’attesa di ritrovarsi nella vita che non ha fine.

Don Silvio




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1 risposta su “Luigi Martin: il tempo della vedovanza”

Molto bella questa storia, commuove e fa riflettere su il vero senso e il profondo significato che porta con se la parola “amore”.
Sebbene oggi giorno quel senso e significato sia lasciato da molti in un dimenticatoio,benché comporti spesso sacrificio,esso è davvero il centro di quel vivere quotidiano del vero cristiano,consapevole di quanto quell’amore sia radicato e di come prodigiosamente porterà buoni frutti. Grazie.

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