Il libro

Come si impara l’arte del discernimento?

Discernimento

di fra Vincenzo Ippolito

Un biblista nel suo libro “5 passi per essere felice” rivela il segreto di un buon discernimento per saper riconoscere la sete del cuore e perseguire in quest’arte antica ma sempre nuova eppure necessaria per fare un buon cammino di fede.

Se scendiamo nel nostro cuore, vincendo la paura e le vertigini della profondità, spingendoci oltre i limiti invalicabili della nostra interiorità, che a nessuno permettiamo di superare, lì dove ciascuno percepisce se stesso come un mistero, incomprensibile eppure sempre affascinante e seducente; se, facendoci forza, spingiamo l’uscio del sacrario d’anima e penetriamo nella stanza segreta dell’intimo, dove abita la ragione del nostro essere, il senso del nostro esistere, dal quale si sprigiona il soffio della vita che ci fa vivere, ci accorgeremo che lì, in quel luogo segreto, abita il desiderio della gioia. Solo chi è attento può percepirne la voce, sottile e flebile, eppure così profonda e vera. Gustarne l’assolutezza, avvertirne la bellezza, sentirne la necessità è un dono, perché solo chi ascolta il proprio cuore, sperimenterà che proprio quel desiderio, come un burattinaio, muove i fili della nostra vita, del pensare e dell’agire, dell’amare e del volere. Tutto, infatti, facciamo per essere felici, nessuna cosa intraprendiamo, senza avere in noi la segreta speranza di raggiungere quell’acqua che può smorzare la sete del cuore.

L’uomo, ogni uomo pensa che la felicità coincida con il possesso ed il potere o con il dolce far nulla di chi dice alla propria anima «Mangia, bevi e divèrtiti!» (Lc 12,19). La nostra vita diventa allora una corsa per appagare l’anima inquieta, nell’unico intento di conquistare, ad ogni costo, ciò che avvertiamo mancante nella nostra vita. Corriamo senza sosta, ci affanniamo senza posa, ma dove porta questa nostra corsa, dove giunge la strada che stiamo percorrendo, credendo che sia quella giusta? Ciò che noi reputiamo gioie non sono altro che chimere, soste intermedie in questa spasmodica gara ad ostacoli che è la nostra vita. Desidero una cosa, credo che, ottenendola, sarò felice, cerco allora in ogni modo di averla, poi, mentre la stringo tra le mani, mi rendo conto che quel senso di soddisfazione presto si dissolve ed io precipito nuovamente nel vuoto. La consolazione dura appena il tempo di riprendere fiato, perché la noia e l’ansia di nuovo mi assalgono ed ho solo una via d’uscita per non vivere sul crinale dell’abisso del non senso: mi do un’altra meta, mi convinco che questa sarà la volta buona e riprendo la mia corsa, ma verso dove?

Andare in giro con la brocca del cuore, come la donna di Samaria, mendicando acqua a cisterne screpolate o a fonti che durano il tempo di una stagione, non serve. Bisogna imparare un’arte antica e sempre nuova, quella del discernimento. Discernere significa saper riconoscere la sete del cuore, comprendere che non bisogna fermarsi alla scorza, ma andare alla sostanza. Se cerco di riempire il vuoto con delle cose, in realtà, sperimenterò continui fallimenti perché il cuore che mi spinge alla ricerca desidera solo l’infinito.

E se dessimo credito a Gesù?

L’uomo, con le sue sole forze, non può giungere alla gioia. In lui “c’è il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo” (Rm 7,18). La difficoltà poi diviene maggiore, notando che la voce del tentatore facilmente ci confonde e non sempre siamo capaci di distinguere il vero dal verosimile, la luce da ciò che della luce ha solo l’apparenza.

L’incapacità dell’uomo a trovare la gioia e a superare le difficoltà che si presentano nel cammino rappresenta lo scenario per comprendere la venuta di Cristo nella storia. Dio Padre ha scritto nella carne del suo Figlio, fatto uomo, il segreto della gioia, nel suo cuore ha nascosto la strada per ritornare nel giardino dell’Eden, dove il Nemico aveva illuso Adamo ed Eva di poter essere felici senza Dio. Da allora, vaghiamo senza meta, ci angosciamo nel dare un senso alla nostra vita e ci affanniamo nel riempire il vuoto che ci portiamo dentro, quella sete di infinito che è il segno del nostro essere stati plasmati ad immagine e somiglianza di Dio. Perché non dare credito a Gesù e donargli un po’ di spazio? Perché non ascoltare la sua voce e lasciare che si cimenti con i nostri dubbi e le nostre inquietudini, le ansie del nostro cuore in agitazione, sempre assetato di novità?

In Gesù il Padre trova il cuore che si attende dall’uomo, la sua obbedienza incondizionata, il suo Eccomi filiale, la sua docile risposta d’amore all’amore. Cristo insegna all’uomo a collocare in Dio il suo cuore, a seminarlo con la sua Parola, a custodirlo perché la zizzania del nemico non metta radici. Non è forse questo il senso dei quaranta giorni vissuti da Gesù nel deserto, in un discernimento che lo porta a scegliere sempre e solo il primato del Padre e della sua Parola di vita? E la sua agonia nell’orto del Getsemani non è anch’essa epilogo di un’esistenza vissuta, accogliendo la volontà divina, sino alla morte di croce, perché l’uomo accolga e viva all’unisono quel progetto che il cuore ribelle di Adamo non volle attuare?

Il discernimento è l’arte di essere felici, di imboccare la strada maestra, di partire, pur senza sapere dove il cammino ci condurrà, perché se nostra è la navicella che salpa verso il mare dell’infinito, dobbiamo permettere che sia Lui, Gesù, a tenere in mano il timone della nostra vita. È così arduo il fidarsi di Lui, così difficile il mettere nelle sue mani la nostra storia, impossibile seguire le sue orme e vedere, come i primi discepoli dove Egli abita? Lasciamo che il suo sguardo consumi il nostro cuore, che l’amore di Cristo ci seduca e la sua misericordia ci investa. Lasciamo che la sua potenza fermi la nostra dispersione, come il flusso dell’emorroissa, e orienti il nostro cuore verso la vita che Lui solo dona in pienezza con il tatto della sua mano. Lasciamo che i nostri occhi si aprano alla luce e le nostre membra, rattrappite per i nostri continui fallimenti, tornino a vivere la corsa di chi attende il ritorno del Padrone, nell’operosità del mettere a frutto i suoi doni.

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Solo chi discerne con Gesù, seguendo il cammino del suo crescere «in età, sapienza e grazia» per ricercare la volontà del Padre, nell’umanità nostra assunta con la gioia dell’amore, potrà giungere ad essere felice; solo chi attraversa il deserto della propria vita, con lucida consapevolezza, e guarda verso Cristo, viene guarito dai morsi dei serpenti che procurano la morte del cuore ed impediscono di continuare la traversata verso la terra promessa; solo chi si affida al Maestro divino, che prima e meglio di noi ha conosciuto delle tappe del nostro cammino, può evitare le voci del nemico che si fa credere amico, ma che, in realtà gode solo della nostra morte. Discernere significa dividere il bene dal male, l’opportuno dal nocivo, il giusto dall’ingiusto, il bello dal brutto, il vero dal falso; discernere significa vagliare gli spiriti, riconoscere i miraggi, smascherare i nemici che si fingono nostri compagni, ricercare il giusto, il buono, il vero ed il bello, non assecondando il proprio egoismo, ma guardandoci dentro con lucidità ed audacia per scoprire ciò che ci rende quello per cui siamo stati creati; discernere vuol dire avere il coraggio di non accontentarsi delle ombre, di ricercare la luce, di saperne godere, rifuggendo le tenebre. Discernere è l’arte del distinguere e solo chi dividerà un giorno le pecore dai capri potrà guidarci perché la sua luce ci dona di vedere nel giusto modo ogni cosa per quello che è.

Educare il cuore

Risalire alla sorgente della gioia, facendo a ritroso il cammino di Adamo, con Gesù è possibile. È Lui la via da percorrere, il Padre la meta da raggiungere, lo Spirito la forza per non soccombere agli attacchi del male. Con Cristo le trappole da evitare non sfuggono, i nemici si dileguano per la potenza del suo nome santo, i tempi di solitudine personale e di confronto con i fratelli sostengono il nostro ricercare il volto luminoso di Dio. Questo cammino per vivere la bellezza e la gioia, l’amicizia e l’armonia nella relazione con Dio, questo esodo da noi stessi e dalle nostre schiavitù verso la terra della libertà, prende il nome di discernimento. È questa un’arte difficile, richiede una continua esercitazione, perché, come ogni arte si impara attraverso un lungo apprendistato. È richiesto, infatti, un paziente lavorio per scendere in se stessi e strappare le chiavi del cuore dalle mani del nemico, per scegliere la libertà che solo Dio può concedere.

 

Da Gesù impariamo che discernere è come separare il grano dalla pula, perché solo il frutto maturo della spiga trovi posto nel granaio; da Lui apprendiamo che discernere significa sedersi e calcolare l’occorrente per la costruzione della casa o fare il computo delle forze del proprio esercito, prima di partire in guerra. Il Signore ci indica che il discernimento comporta riempiere i burroni dei propri fallimenti, con la terra della misericordia che si scava nel suo cuore, guardando in faccia gli errori del passato, senza la paura che possano ancora far male, perché resi inoffensivi dal braccio del nostro Condottiero. Il Figlio del Carpentiere ci ammonisce che si può discernere solo ascoltando Dio e i fratelli, leggendo nella storia i segni di una volontà divina che si scopre, vivendo l’avventura del non aver paura di sbagliare, con buone intenzioni – anche Francesco d’Assisi partì riparando chiese e dopo capì che era altra la ricostruzione che il Crocifisso gli chiedeva – perché arduo è vedere dov’è il bene in noi e nelle situazioni che viviamo, ancor di più sceglierlo, dopo averlo visto e riconosciuto, molto difficile poi perseverare nel bene intrapreso, senza deviare. Chi discerne, però, sa che: «Tutto è possibile a chi crede» (Mc 9,23) che «Nulla è impossibile a Dio» (Lc 1,27).

 

L’organo che presiede al discernimento e che conduce alle decisioni è il cuore. È nel cuore, infatti, che ogni creatura accoglie o rifiuta Dio come Signore, definisce la sua vita, determina la sua storia, costruisce il suo futuro. Ecco perché, in ultima analisi, discernere significa educare il cuore, lasciare che lo Spirito lo plasmi, permettere che l’acqua della grazia lo purifichi, che il balsamo della misericordia lo guarisca, che la luce di Dio ne illumini le tenebre. Proprio perché il cuore è difficilmente guaribile (cfr. Ger 7,9), sempre incline ad assecondare i moti dell’egoismo che agisce, sotto mentite spoglie, è necessario formare il cuore, attuando quella disciplina interiore, quella lotta spirituale, quel combattimento all’ultimo colpo che non è esercizio della pura volontà, ma segno di un amore più grande che abita in noi.

 

Inizia il cammino del discernimento solo chi ha incontrato Gesù, scoprendo in Lui l’amore vero di cui il cuore dell’uomo ha sete. Solo chi si sente amato e vuol rispondere a questo amore, sa che non può farne a meno, solo chi ha sentito su di sé lo sguardo di elezione del Signore decide di intraprendere questo santo viaggio. Cammina per «discernere la volontà di Dio, ciò che a lui è gradito e perfetto» (Rm 12,2), solo chi decide di lasciare a Cristo il proprio cuore per farne la sua casa, la sua dimora. Solo chi si è sentito amato da Cristo e come Giovanni ricorda l’ora in cui ha incontrato il Maestro – «Erano circa le quattro del pomeriggio» aveva appuntato il discepolo amato in Gv 1,39 – può consegnarsi a Lui senza riserve, ponendo fine all’inquietudine del continuo ricercare nelle cose l’appagamento del cuore e la pace dell’anima. È ciò che confessa Agostino di Ippona: «Tardi ti amai, bellezza così antica e così nuova, tardi ti amai. Sì, perché tu eri dentro di me e io fuori. Lì ti cercavo. Deforme, mi gettavo sulle belle forme delle tue creature. Eri con me, e non ero con te. Mi tenevano lontano da te le tue creature, inesistenti se non esistessero in te. Mi chiamasti, e il tuo grido sfondò la mia sordità; balenasti, e il tuo splendore dissipò la mia cecità; diffondesti la tua fragranza, e respirai e anelo verso di te, gustai e ho fame e sete; mi toccasti, e arsi di desiderio della tua pace» (Confessioni, 10, 27, 38). Il discernere è l’arte del rispondere ad un amore più grande e di vivere totalmente protesi a possederne la gioia, a contagiarne il cuore degli altri perché divengano anch’essi discepoli e trovino in Gesù la gioia, nella comunione con Lui, la forza per vivere d’amore fino alla fine.

Se vuoi approfondire: https://www.famiglia.store/prodotto/5-passi-per-essere-felice/




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