
Il miracolo dell’amicizia
di don Silvio Longobardi
Dal Vangelo secondo Marco (Mc 7,31-37)
In quel tempo, Gesù, uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidòne, venne verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli. Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano. Lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: «Effatà», cioè: «Apriti!». E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente. E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo proibiva, più essi lo proclamavano e, pieni di stupore, dicevano: «Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!».
Il commento
“Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano” (7,32). Il protagonista di questa pagina evangelica è l’icona di un’umanità ferita e sfigurata. Dio ha fatto bene ogni cosa ma il peccato, che fin dall’inizio accompagna la storia, ha seminato il male, la creazione è stata così deformata, l’umanità cammina con fatica verso la pienezza. Come può vivere dignitosamente un uomo che non ha la possibilità di udire e di parlare e può comunicare solo attraverso gesti? Appartiene alla categoria degli sconfitti, di quelli che sono condannati a restare emarginati e marginali. Eppure quest’uomo, privo di alcuni beni essenziali, può contare sul sostegno di persone che si prendono cura di lui. Non solo lo portano ma chiedono a Gesù di imporre le mani (7,32). Il Vangelo non svela la loro identità, forse sono familiari o amici. Una cosa è certa: quest’uomo non è solo! Nella sua vicenda dolorosa la compagnia degli amici diventa un elemento decisivo. Gesù compie la guarigione e restituisce all’uomo la sua dignità; ma l’incontro avviene grazie a coloro che lo conducono a Lui. Il primo miracolo della vita, quello che tutti possono fare, è la carità fraterna, la capacità di prendersi cura degli altri. Una carità che non si accontenta di tamponare le ferite ma s’impegna a dare pienezza di vita. Quant’è importante che nessuno di noi sia solo, abbandonato a se stesso. E che nel momento della prova o della malattia, nel momento in cui la debolezza avvolge e incatena, tutti possano sperimentare la condivisione di amici che sanno sostenere e accompagnare all’incontro con Gesù Cristo, Lui il che può dare senso e valore alla sofferenza. Questa riflessione è solo la premessa del racconto evangelico. In apparenza è solo un dettaglio rispetto alla narrazione ricca di parole e gesti. E tuttavia, senza questa prefazione non avremmo avuto quel miracolo che fa dire alla gente: “Ha fatto bene ogni cosa” (7,37). Oggi chiediamo la grazia di esercitare la carità con abbondanza con la certezza che questo seme feconda la nostra umanità e la conduce verso la pienezza.
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