Il culto delle reliquie

Reliquie: segno visibile del Dio invisibile

Urna reliquie dei Santi Luigi e Zelia MArtin

di Gianni Mussini

Il culto delle reliquie tra superstizione e spiritualità. Qual è la verità? Come venerarle per quello che rappresentano senza trasformarle in un talismano?

Che cosa hanno in comune un gagliardetto del Manchester United, la chitarra di Elvis all’Hard Rock Café di Manhattan, i Sepolcri di Ugo Foscolo e gli autografi delle tre stesure dei Promessi sposi di Alessandro Manzoni? In tutti i casi abbiamo a che fare con realtà materiali che rimandano a una realtà di tipo – in senso lato – ‘spirituale’ e la rendono viva e visibile.

Il primo risale alla semifinale di una delle diverse Coppe dei Campioni vinte dal mio Milan: ero in gita scolastica e la guardai solo in TV ma un fedele amico, presente a San Siro, riuscì a procurarmi il prezioso gagliardetto che fa ancora bella mostra di sé nel mio studio (non lontano c’è una bella stampa ottocentesca che ritrae lo stesso Manzoni, con altri variegati cimeli e assortite immagini di luoghi cari: paesaggi dell’anima che in quel modo rimangono perennemente nei miei occhi e dunque nel mio cuore).

Leggi anche: Quando i pastori presentano la santità coniugale…

Con altre preziose ‘reliquie’ (per esempio la lettera d’amore di Courtney Love, il borsello di Jimi Hendrix e, per i più conservatori, i “Beatles memorabilia” come latinamente li chiamano da quelle parti…), all’Hard Rock Café di New York è laicamente venerata ogni giorno da centinaia di visitatori anche la chitarra di Elvis Presley: posso testimoniare che, appena la vedono, si mettono a canticchiare Jailhouse rock oppure (i romantici) Love me tender.

I Sepolcri del vecchio Foscolo ci dicono invece che un apparentemente inutile “sasso” cimiteriale, che ricorda una persona cara, non è veramente inutile visto che – come ci hanno insegnato a scuola – può stimolare una giovevole “corrispondenza di amorosi sensi” e, se si è stati bravi in vita, anche una sana emulazione a compiere “egregie cose”.

Infine gli autografi manzoniani (ogni foglio dei quali avrebbe un valore venale di migliaia di euro) ci spiegano che la storia delle tre redazioni dei Promessi sposi e dei cenci sciacquati in Arno non è una noiosa invenzione dei professori e dei critici letterari, ma una cosa magnificamente concreta: quante volte a scuola ho proposto ai miei ragazzi fotoriproduzioni delle diverse stesure di un passo del romanzo per far scoprire autonomamente da loro stessi il processo di toscanizzazione del linguaggio e, insieme, certe particolari soluzioni stilistiche attuate dall’autore… E dinanzi alla realtà, non a sue intimorenti astrazioni, i ragazzi capivano!

Ci pensavo quando, all’inizio di quest’anno, in una città disincantata come la mia (dove la presenza dominante dell’Università dissuade da ogni troppo esibita passione) si è tenuta – promossa da don Silvio Longobardi e dalla sua comunità – la peregrinatio delle reliquie dei genitori di Santa Teresa di Lisieux. Confesso che temevo il classico buco nell’acqua. Ma quando, all’inizio delle celebrazioni, ho visto d’incanto accendersi l’altare di moltissime candele (ecco un altro oggetto che allude a una realtà spirituale), allora ho capito che la cosa funzionava, e che tanta gente sente il bisogno di una fede concreta e incarnata: che è poi il segreto del Cristianesimo, il cui Dio non se ne è stato per aria, ma è venuto giù da noi, si è fatto toccare, ha mangiato e, nell’Eucarestia, si è fatto mangiare; anzi continua a farlo visto che, proprio nell’Eucarestia, secondo una bella intuizione del Cardinal Scola, Cristo è nostro contemporaneo.

Leggi anche: “Il nunc che ho imparato dal mio cammino verso Compostela”

Certo, non sono mancate le riserve dei soliti cattolici superintelligenti (?) sempre pronti a denunciare tutto quanto, nella Chiesa, sappia anche lontanamente di ‘superstizione’. E non senza ragioni, beninteso: sul culto delle reliquie incombe infatti il rischio del feticismo, quando da segno vivo esse si trasformano in una sorta di talismano. Inaccettabile, perché la magia non c’entra con il Cristianesimo, tanto che la Chiesa è molto severa in materia; così come – per analoghi motivi – condanna senza mezzi termini il mercato delle cose sacre, ovvero quella simonia che può vergognosamente riguardare anche le reliquie dei santi.

Ma sentiamo la parola sicura del Concilio, così volentieri invocato dai superintelligenti di cui sopra: «La Chiesa, secondo la sua tradizione, venera i santi e tiene in onore le loro reliquie autentiche e le loro immagini. Le feste dei santi infatti proclamano le meraviglie di Cristo nei suoi servi e propongono ai fedeli opportuni esempi da imitare» (cap. 11 della Costituzione sulla Sacra Liturgia).

Non si potrebbe dire meglio. Del resto quest’anno proprio le reliquie del papa del Concilio, san Giovanni XXIII, sono state accolte per qualche settimana nella casa natale del Santo, a Sotto il Monte. Mentre Giovanni Paolo II, altro papa canonizzato, fu sentito esclamare sulla tomba di sant’Agostino nella basilica pavese di San Pietro in Ciel d’Oro: “Qui c’è il corpo di sant’Agostino”, calcando molto – alla sua maniera – sulla parola “corpo”, così decisiva nella visione trinitaria del Cristianesimo e anche in quella particolare Teologia del corpo elaborata dallo stesso Wojtyla.

Sulla stessa linea monsignor Ettore Malnati che, in un recente intervento comparso su Avvenire, ha ben colto le radici cristologiche ed eucaristiche delle reliquie: se è vero che l’umanità di Gesù Cristo “fu determinante nel piano divino in tutta la sofferenza e umiliazione della Passione sino alla tragedia della croce”, ne consegue che “è proprio per il mistero dell’unione ipostatica, cioè delle due nature nell’unica persona del Verbo, che ha potuto realizzarsi la redenzione dell’umanità”; e che coerentemente i cristiani sin dai primi secoli hanno onorato i corpi dei martiri in virtù proprio del fatto che, “con il Battesimo e l’intera economia sacramentale, il corpo del cristiano, oltre ad essere il tempio della Trinità, è stato lo strumento materiale per una realizzazione della teofania individuale”.

La conclusione è coerente con questo assunto: “L’onorare dunque il corpo sepolto di un santo significa richiamare il modo come questi ha risposto al progetto di Dio e porsi alla sua scuola, per rendere la propria vita illuminata dallo stile con cui quel santo ha vissuto”.

Chiaro no? E pensare che avevo cominciato il discorso parlando di Elvis Presley e del Manchester United… Proprio vero che le vie del Signore sono infinite!

 




Aiutaci a continuare la nostra missione: contagiare la famiglia della buona notizia

Cari lettori di Punto Famiglia,
stiamo vivendo un tempo di prova e di preoccupazione riguardo il presente e il futuro. Questo virus è entrato prepotentemente nella nostra quotidianità e ci ha obbligati a rivedere i tempi del lavoro, delle amicizie, delle Celebrazioni. Insomma, ha rivoluzionato tutta la nostra vita e non sappiamo fin dove ci porterà e per quanto tempo. Ci fidiamo delle indicazioni che provengono dal Governo e dagli organi sanitari preposti ma nello stesso tempo manifestiamo con la nostra fede che “il Signore ci guiderà sempre” (cfr Is 58,11).

CONTINUA A LEGGERE



ANNUNCIO

ANNUNCIO

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Per commentare bisogna accettare l'informativa sulla privacy.