
La nostra vera identità
di don Silvio Longobardi
Dal Vangelo secondo Marco (Mc 10,35-45)
In quel tempo, si avvicinarono a Gesù Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedèo, dicendogli: «Maestro, vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo». Egli disse loro: «Che cosa volete che io faccia per voi?». Gli risposero: «Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra». Gesù disse loro: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io bevo, o essere battezzati nel battesimo in cui io sono battezzato?». Gli risposero: «Lo possiamo». E Gesù disse loro: «Il calice che io bevo, anche voi lo berrete, e nel battesimo in cui io sono battezzato anche voi sarete battezzati. Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato». Gli altri dieci, avendo sentito, cominciarono a indignarsi con Giacomo e Giovanni. Allora Gesù li chiamò a sé e disse loro: «Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».
Il commento
“Concedici di sedere nella tua gloria uno alla tua destra e uno alla tua sinistra” (10,37). Giacomo e Giovanni si staccano dal gruppo e si avvicinano a Gesù, hanno qualcosa di personale da chiedere, hanno pensato e pesato le parole da dire. “Maestro, vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo” (10,35). Si rivolgono con rispetto ma la loro richiesta contiene un’evidente pretesa, svela quel desiderio del potere che appartiene alla natura umana. Anche nel gruppo apostolico, dunque, e anche dopo una lunga frequentazione di Gesù, permane l’idea di un messianismo politico. Anche i discepoli più vicini non si sono ancora liberati da questa idea, molto diffusa nel giudaismo di quel tempo, acuito dalla condizione di sottomissione politica ai romani. Gesù fa di tutto per evitare di essere confuso con quanti predicano la rivoluzione politica. Anzi, non teme di annunciare che la sua missione avrà una fine ingloriosa. Tutto questo evidentemente non convince la gente, neppure i discepoli. Avere i “primi posti” è un desiderio che rivela l’istintiva tendenza ad affermare se stessi. Gesù è venuto per liberare l’uomo da ogni forma di schiavitù, anche da quella che lo incatena al proprio io e alle sue pretese. Al potere egli oppone il servizio, all’affermazione orgogliosa l’umile obbedienza, alla sfrenata libertà dell’individuo l’amore per il Regno. Dinanzi a questa prospettiva, l’istinto umano si ribella. E tuttavia, solo se accogliamo queste parole, la fede diventa capace di plasmare un uomo nuovo. La vicenda terrena di Gesù rivela la vera identità dell’uomo e lo stile di vita che ogni cristiano è chiamato ad assumere. Solo il costante e leale confronto con il Vangelo ci libera dai condizionamenti di una cultura che deforma la verità in funzione dell’io. Dove c’è Cristo, l’uomo vive. Dove la sua Parola mette radici, si edifica quella che Paolo VI chiamava la “civiltà dell’amore”. Il tentativo di emarginare Cristo o di non considerarlo come l’unico Salvatore, si traduce inevitabilmente nella demolizione dell’uomo e nello smarrimento della verità. Oggi preghiamo perché la nostra fedele testimonianza del Vangelo aiuti l’uomo a ritrovare la sua dignità.
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