CORRISPONDENZA FAMILIARE

di don Silvio Longobardi

“Ogni individuo ha diritto alla vita”, tranne i bambini nel grembo…

3 Dicembre 2018

gravidanza

Chi lo ha generato non vuole prendersene cura, la società fa finta di niente e lo Stato mette a disposizione le sue strutture sanitarie per eliminare quel bambino che disturba la quiete privata e pubblica. Tutti d’accordo insomma, ma una società che uccide i suoi figli, condanna se stessa.

La Dichiarazione dei diritti dell’uomo compie 70 anni. Fu approvata dalle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948 subito dopo una guerra mondiale in cui il disprezzo dell’uomo aveva indotto a commettere “atti di barbarie che offendono la coscienza dell’umanità”. Così leggiamo nelle parole introduttive del documento. Questo anniversario probabilmente sarà celebrato in grande stile e con tanta retorica. Si tratta senza dubbio di un passaggio epocale, il segno di una più matura consapevolezza che la vita dell’uomo – di ogni uomo – ha un’intrinseca dignità e non può mai diventare una cosa o una merce.

Le parole sono chiare ma la prassi non sempre segue coerentemente il dettato giuridico. Come possiamo affermare che “ogni individuo ha diritto alla vita” (art. 3) se poi in tanti Paesi del mondo la Legge riconosce e favorisce l’aborto che, detto in soldoni, consiste nell’uccidere un bambino nella fase iniziale del suo sviluppo? Non siamo di fronte agli errori dei singoli, sanzionati e combattuti dalla Legge, ma ad un macroscopico errore del codice normativo. Come si possa dare la morte ad un innocente bambino – sulla cui identità nessuno può ragionevolmente dubitare – e poi blaterare sui diritti dell’uomo, per me rimane un grande mistero. Anzi, per dirla tutta, è il segno chiaro che questa società è fondata sulla menzogna, su una palude di bugie che non potranno mai diventare pilastri di una casa.

Nello stesso anno in cui le Nazioni Unite approvavano la Dichiarazione, Madre Teresa di Calcutta dava inizio ad una nuova Famiglia Religiosa profondamente segnata dall’amore verso i poveri. Tutti i poveri. Davvero tutti, compresi i bambini nascosti nel grembo materno. Quei bambini per Madre Teresa erano i “più poveri dei poveri” perché non avevano voce. Mentre i grandi della terra scrivevano un documento di belle parole, il buon Dio metteva nel cuore di una piccola donna il desiderio di scrivere pagine di eroica carità. Una carità concreta che rendeva possibile quello che ordinariamente appare difficile o impossibile.

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Uccidere un bambino quando è ancora nel grembo materno significa considerarlo figlio di nessuno. Chi lo ha generato non vuole prendersi cura di lui, lo considera un peso inutile. La società chiude gli occhi, fa finta di non sapere nulla. Lo Stato lo abbandona al suo destino, anzi mette a disposizione le sue strutture sanitarie per eliminare senza rischi quel bambino che disturba la quiete privata e pubblica. Tutti d’accordo. E se qualcuno decide di opporsi a questa barbarie legalizzata, viene subito zittito.

Alcuni mesi fa in Francia si è aperto un dibattito culturale e politico sulla possibilità di inserire nella Costituzione un emendamento che riconosce l’aborto come un diritto. L’emendamento non ha ricevuto la maggioranza del Parlamento semplicemente perché … non ve n’è affatto bisogno. Così hanno argomentato i favorevoli all’aborto. È così anche in Italia. Anche se a parole la stessa legge 194 – quella che disciplina l’aborto – parla di “tutela sociale della maternità”, non si può e non si deve fare nulla per difendere la maternità. E se una donna in gravidanza presenta problemi di natura economica … peggio per lei. Le vicende recenti del Comune di Alessandria sono un chiaro segnale che l’aborto è diventato una cieca ideologia che non guarda più alla persona concreta. Non guarda al bambino ma neppure alla madre. Un’ideologia che, in nome dei suoi dogmi, cancella il diritto alla vita e spezza il filo di quella solidarietà primaria che lega la madre al suo bambino.

Nel 2011 un maxi-manifesto apparve nel centralissimo corso Buenos Aires di Milano: il volto di un uomo sofferente e una scritta: “Lasciatemi morire”. In quel caso non ci furono strali, nessuno invocò la censura mediatica né il Comune sentì l’obbligo di oscurare quei manifesti, anzi, anche chi non condivideva il contenuto, disse che si trattava di una provocazione intelligente.

Proviamo a pensare ad un analogo manifesto che porta l’immagine di un bambino ben formato, al terzo mese di gravidanza, con una semplice scritta: “Lasciatemi vivere”. Un appello alla solidarietà rivolto a tutti: tanto ai genitori quanto alla società. Nient’altro che questo. Un bimbo che chiede di avere la possibilità di vivere. Pensate che questo manifesto passerà indenne la censura degli intransigenti guardiani della rivoluzione femminista? Possiamo provare ma ho parecchi motivi per dubitare che anche il più innocente appello possa trovare accoglienza. L’ideologia rende ciechi.

Cari amici, teniamo dunque gli occhi aperti e impegniamoci a fare la nostra parte. “Vi preghiamo di non uccidere i bambini, di loro ci prenderemo cura noi”: diceva Madre Teresa. Lei aveva capito che una società che uccide i suoi figli, condanna se stessa.




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