Famiglia

Che vuol dire essere famiglie discepole di Cristo?

(Foto: Rinelle / Shutterstock.com)

di padre Emanuele Bochicchio, ofm

Dove il discepolo fa esperienza di Gesù? Tra le mura domestiche, nella tenerezza di una casa. Le prime discepole al mondo sono le famiglie.

Il libro di Padre Raffaele Petti, “Il discepolato di Gesù” edito da Editrice Punto Famiglia, mi ha offerto lo spunto per pormi e per porre qualche domanda: che vuol dire essere famiglie discepole oggi? È possibile essere famiglie missionarie nel mondo, annunciatrici del Vangelo dell’amore? Se sì, quali caratteristiche deve avere una famiglia discepola di Cristo?

Una lettura trasversale dei documenti principali del Magistero di papa Francesco ci suggerisce che a partire dal dato biblico, la famiglia è discepola nel mondo anzi è proprio lì che si formano in prima istanza i discepoli. La casa, la famiglia è il luogo dove l’uomo fa esperienza concreta di Gesù perché è lì che Dio amore si rende visibile. Lo sottolinea bene papa Francesco in Amoris laetitia, Esortazione apostolica post-sinodale sull’amore nella famiglia. La legge dell’amore e del dono di sé è il segno distintivo dei discepoli di Cristo: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Gv 15,13). Dove altro si può sperimentare il dono di sé nell’amore pieno se non in famiglia? Qui in questo spazio storico concreto Dio si rivela come origine e fondamento dell’amore e di ogni famiglia.

Ma torniamo al libro. Padre Raffaele nel suo interessantissimo studio dice che l’assoluto primato di Gesù e l’assunzione della sua persona sono caratteristiche specifiche dell’essere discepoli di Gesù. Tradotto in termini più semplici: senza il Maestro non abbiamo nulla da dare. Mi piace sottolineare che anche Papa Francesco raccomanda alla coppia e alla famiglia di riconoscere l’assoluto primato di Gesù nella loro vita, un primato che il matrimonio come sacramento assicura e rende possibile, perché dona a quell’unione di nascere dall’alto.

In Evangelii Gaudium, l’affermazione, sull’identità del discepolo, è più esplicita. In sintesi si tratta di osservare il comandamento nuovo che è il primo, il più grande, quello che meglio ci identifica come discepoli: “Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi”. (GV 15, 12-17) Non basta dunque amarsi, ma è necessario imparare ad amare come Lui, come Gesù, fino alla morte se è necessario e alla morte di croce.

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Dare la vita: non è questo il fondamento di ogni famiglia? In una famiglia-discepola il frutto dell’amore sono la misericordia e il perdono, precisa il Papa. Misericordia, intesa come amore-dono che non viene mai meno. Perdono cioè il farsi carico dell’errore e del peccato dell’altro. Dove sono finiti questi fondamenti nelle famiglie di oggi?

Condizione imprescindibile per realizzare il discepolato in famiglia è l’umiltà. Per il Papa è importante che i cristiani vivano questo atteggiamento nel loro modo di trattare i familiari poco formati nella fede, fragili o meno sicuri nelle loro convinzioni. Tuttavia spesso accade il contrario: quelli che, nell’ambito della loro famiglia, si suppone siano cresciuti maggiormente, diventano arroganti e insopportabili. Ma la logica cristiana sovverte questa tendenza. Gesù ricordava ai suoi discepoli che nel mondo del potere ciascuno cerca di dominare l’altro, ma: “Tra voi però non è così. Chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore”. (Mc 10,43; cfr. Mt 20,26). Nella vita familiare non c’è spazio per il dominio né per la competizione. La famiglia è il luogo privilegiato dove deve risplendere l’amore nella donazione di sé. Per imparare a farlo ogni famiglia deve trovare tempi di silenzio per ascoltare Gesù e per lasciarsi ammaestrare da Lui: “Parla, Signore, perché il tuo servo ti ascolta” (1 Sam 3,9) (EG,146). Se Gesù non è presente nel cuore di una famiglia presto mancherà l’entusiasmo e la sicurezza di ciò che si trasmette, mancherà la forza e la passione dell’annuncio, mancherà la gioia del Vangelo. 

In fine non dobbiamo dimenticare che la venuta del Salvatore è stata possibile grazie al sì di una famiglia. Maria e Giuseppe non sono forse la prima famiglia discepola? Padre Raffaele spiega in una ampia trattazione (p. 38-43) che la tradizionale ermeneutica legata alla professione di fede che ha interpretato i racconti di vocazione di Maria e Giuseppe non ha mai mancato di notare l’esemplarità della risposta positiva che Maria e Giuseppe offrono nel disporsi ad obbedire al progetto di Dio, sebbene nei due racconti si noti anche l’obiezione che i due personaggi provano ad avanzare. Tuttavia, superate le umane esitazioni, Maria e Giuseppe arrivano ad offrire tutto se stessi per assecondare il disegno salvifico di Dio. Grazie al loro atto di offerta la salvezza è arrivata a tutti noi.

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