
Il dito di Dio
di don Silvio Longobardi
Dal Vangelo secondo Luca (Lc 5,12-16)
Un giorno, mentre Gesù si trovava in una città, ecco, un uomo coperto di lebbra lo vide e gli si gettò dinanzi, pregandolo: «Signore, se vuoi, puoi purificarmi». Gesù tese la mano e lo toccò dicendo: «Lo voglio, sii purificato!». E immediatamente la lebbra scomparve da lui. Gli ordinò di non dirlo a nessuno: «Va’ invece a mostrarti al sacerdote e fa’ l’offerta per la tua purificazione, come Mosè ha prescritto, a testimonianza per loro». Di lui si parlava sempre di più, e folle numerose venivano per ascoltarlo e farsi guarire dalle loro malattie. Ma egli si ritirava in luoghi deserti a pregare.
Il commento
“Gesù tese la mano, lo toccò e disse: «Lo voglio, sii purificato!»” (5,13). Il lebbroso si getta ai piedi di Gesù e chiede con umiltà di essere guarito. La risposta di Gesù e racchiusa in tre verbi: toccare, volere, purificare. Tre gesti complementari. Oggi desidero sottolineare il primo, quello che tutto sommato potrebbe apparire inutile in rapporto alla guarigione; e invece è proprio quello racchiude l’aspetto più originale della carità evangelica. Poteva fare a meno di toccarlo, trattandosi di un lebbroso. E invece, non solo gli ha permesso di avvicinarsi, ben oltre le regole consentite dalla Legge, ma lui stesso si fa vicino, fino al punto da poterlo toccare con la mano: “stesa la mano, lo toccò”. Questo verbo svela il volto di un Dio che non resta lontano ma desidera abbracciare la nostra condizione. Siamo abituati a dividere gli uomini in buoni e cattivi, sani e malati, ricchi e poveri. Dio invece ama condividere. Dinanzi a Lui siamo tutti figli da amare. Gesù insegna che non possiamo fare il bene rimanendo distanti o addirittura mettendoci su un gradino più in alto. La società si divide tra benefattori e bisognosi, tra quelli che fanno il bene e quelli che lo ricevono. I discepoli di Gesù, invece, si pongono accanto, anzi si chinano sulle ferite. Un gigante della carità insegnava: “Quando andiamo a visitarli [i poveri], cerchiamo di capirli per soffrire con loro” (san Vincenzo de’ Paoli). Non basta neppure andare di persona a visitarli, dobbiamo imparare a sentire nella nostra carne, la loro fatica. Gesù abbraccia un uomo coperto di lebbra, un uomo che tutti gli altri scansano. Così facendo egli insegna che non c’è nessun uomo, per quanto piagato nel corpo o nello spirito, che non sia più degno dell’abbraccio di Dio. La scena evangelica fa pensare alla suggestiva icona della creazione dipinta da Michelangelo: il dito di Dio tocca il dito dell’uomo. Toccando l’uomo, Dio comunica il soffio della vita. Vivere la carità significa comunicare vita a quanti si sentono soli, abbandonati o condannati. È questa carità che oggi chiediamo come una grazia.
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