
La scialuppa di salvataggio
di don Silvio Longobardi
Dal Vangelo secondo Marco (Mc 3,7-12)
In quel tempo, Gesù, con i suoi discepoli si ritirò presso il mare e lo seguì molta folla dalla Galilea. Dalla Giudea e da Gerusalemme, dall’Idumea e da oltre il Giordano e dalle parti di Tiro e Sidòne, una grande folla, sentendo quanto faceva, andò da lui. Allora egli disse ai suoi discepoli di tenergli pronta una barca, a causa della folla, perché non lo schiacciassero. Infatti aveva guarito molti, cosicché quanti avevano qualche male si gettavano su di lui per toccarlo. Gli spiriti impuri, quando lo vedevano, cadevano ai suoi piedi e gridavano: «Tu sei il Figlio di Dio!». Ma egli imponeva loro severamente di non svelare chi egli fosse.
Il commento
“Aveva guarito molti, cosicché quanti avevano qualche male [mástigas] si gettavano su di lui per toccarlo” (3,10). Non è un semplice dato di cronaca. Il vocabolo mastix significa frusta o flagello, non indica perciò solo una malattia ma un deficit, un danno, una situazione rovinosa, insomma una condizione di sofferenza. La gente che corre da Gesù somiglia a quei naufraghi che si aggrappano ad una scialuppa apparsa all’improvviso in mezzo al mare. Non solo vanno da Gesù ma si gettano su di lui sperando che il semplice toccarlo possa guarirli dall’infermità che portano nella carne e nel cuore. Un’immagine straziante e purtroppo sempre attuale. Tanta gente soffre, si trova smarrita e sola, con un peso che spesso non sa e non può condividere con nessuno. A chi può rivolgersi quando il cuore è in tempesta? A chi può affidare il proprio dolore? Tutti corrono, tutti hanno da fare. Pochi hanno tempo e voglia per accogliere il dolore altrui e dire una parola di consolazione. La solitudine accresce lo smarrimento e il senso di impotenza.
Eppure, proprio in questo tempo il Signore consegna alla Chiesa e al mondo la testimonianza di tanti giovani malati che fanno della malattia una nuova possibilità di vita. A questa categoria appartiene Carlotta Nobile (1988-2013), beneventana, che scrive: “non voglio che il cancro mi fermi, voglio che mi formi”. Ha ritrovato la fede negli ultimi mesi di vita. Lungo tutto il decorso della malattia ha conservato la sua dignità, ha lottato per restare viva e custodire tutti i sogni che portava in cuore. Nel suo blog vi sono pagine luminose: “Dobbiamo dare un senso a questo nostro essere malati, a queste cicatrici, a questi incubi che non passano e a questa paura che resta. Il senso è che siamo noi a dover mostrare all’altra fetta di mondo quanto sia meravigliosa, imprevedibile e degna di essere vissuta a fondo, la vita” (In un attimo l’infinito, 121). Esperienze come queste fanno venire i brividi ma fanno anche pensare alla luce che lo Spirito Santo non smette di seminare nei solchi aridi della nostra terra, nei vicoli inquinati della nostra società. Oggi chiediamo di essere forti dinanzi al male.
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