VII Domenica del Tempo Ordinario – Anno C – 24 febbraio 2019

La nostra bellezza sta nell’avere i lineamenti di Cristo

di fra Vincenzo Ippolito

Portare l’immagine del Risorto significa vivere come Lui, in questa vita e nell’altra, lasciare che la potenza del suo amore gradualmente ci trasformi, rendendoci creature nuove.

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi (15,45-49)
Dio ci ha dato la vittoria per mezzo di Gesù Cristo.
Fratelli, il primo uomo, Adamo, divenne un essere vivente, ma l’ultimo Adamo divenne spirito datore di vita.
Non vi fu prima il corpo spirituale, ma quello animale, e poi lo spirituale.
Il primo uomo tratto dalla terra è di terra, il secondo uomo viene dal cielo. Quale è l’uomo fatto di terra, così sono quelli di terra; ma quale il celeste, così anche i celesti. E come abbiamo portato l’immagine dell’uomo di terra, così porteremo l’immagine dell’uomo celeste.

 

Il tema che domina la liturgia di questa Settima Domenica del Tempo Ordinario è l’amore dei nemici. La Prima Lettura, tratta dal Primo libro di Samuele (26,2.7-9. 12-13.22-23) presenta la caccia di Davide, voluta dal re Saul, geloso delle conquiste del giovane figlio di Iesse. Il re dorme, insieme con i suoi uomini, quando Davide scende nell’accampamento nemico. Abisai che lo accompagna, vorrebbe uccidere Saul e lo incita alla vendetta, dicendogli: “Oggi Dio ti ha messo nelle mani il tuo nemico. Lascia dunque che io lo inchiodi a terra con la lancia in un sol colpo e non aggiungerò il secondo”. Ma Davide desiste dall’idea di stendere la mano sul consacrato del Signore e decide di portare via la lancia e la brocca dell’acqua che era dalla parte del capo di Saul. Vuole così dimostrare al re la rettitudine del suo cuore e la sua volontà di non prendere il posto di Dio nel giudicare il fratello. Tale sentimento di compassione e di non violenza nei riguardi di colui che si considera nemico, nella Pagina evangelica odierna (cf. Lc 6,27-38), diventa amore incondizionato verso il proprio avversario e desiderio di uguagliare il Padre celeste nell’usare misericordia a tutti. Nel “discorso della pianura”, infatti, l’evangelista Luca presenta quella pienezza di giustizia alla quale il discepolo deve giungere, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, pienezza della legge e rivelatore definitivo della volontà del Padre sull’intera Creazione. La Seconda Lettura, tratta anche questa domenica dalla Prima Lettera ai Corinzi (cf. 1Cor 15,45-49), continua la catechesi dell’Apostolo sulle verità ultime della vita dell’uomo e spinge il credente a vedersi al di là della storia, nell’eternità di Dio.
L’insegnamento che la Chiesa, da madre e maestra, ci offre in questa domenica è chiaro: solo l’amore di Dio, la forza della sua misericordia (Vangelo) potenzia le capacità del cuore dell’uomo che tende alla giustizia e alla rettitudine (Prima Lettura) e ci rende partecipi di riflettere l’immagine di Cristo risorto (Seconda Lettura), che dona ai suoi la vita che vince la morte.

Chiarire la fede che professiamo

Non è semplice comprendere il tema che sviluppano i pochi versetti della Seconda Lettura di oggi. Il brano, infatti, non continua quello della scorsa domenica (cf. 1Cor 15,12.16-20) – vengono saltati più di trenta versetti! – così da proseguire il discorso già incominciato dall’Apostolo sulla resurrezione che attende i credenti, seguendo Cristo, “primizia di coloro che sono morti” (1Cor 15,20). Il nostro brano, invece, fa parte di una nuova sezione (cf. 1Cor 15,35-53), che rappresenta poi la risposta ad una specifica domanda posta in principio dall’Apostolo: “Ma qualcuno dirà. Come risorgono i morti? Con quale corpo verranno?” (1Cor 15,35). Paolo, dopo aver ricordato la professione di fede della Chiesa, che lui stesso vive, crede e annuncia (cf. 1Cor 15,1-11), chiarisce prima la resurrezione che riguarda i credenti, a somiglianza di Cristo (cf. 1Cor 15,12-34) ed in seguito la modalità della resurrezione futura che attende i credenti. Quelle che sorgono nella comunità sono domande legittime e risulta importante offrire delle risposte soddisfacenti. Paolo non si esime dal farlo, perché sa bene che un dubbio non chiarito rappresenta un macigno in un cuore che non riesce a crescere nella fede, nella mente che fatica a portare il passo con la comunità credente, di cui è parte integrante con il Battesimo.

È importante rispondere alle domande e non sottovalutarle, che vengano dai fanciulli o dai più piccoli, da adolescenti ribelli o da giovani che faticano a comprendere la strada del Vangelo non fa differenze. Tutti abbiamo i nostri piccoli e grandi dilemmi che ci portiamo nel cuore, ma è fondamentale che ci siano adulti capaci di rispondere, senza troppi giri di parole. Ancor meglio se poi, come Paolo, si cerca di anticipare le domande, così da evitare di vivere la difficoltà di farsi vedere deboli e in imbarazzo, per un chiarimento richiesto, che mostra sempre un dubbio profondo che consuma il cuore. Non serve appellarsi ad un mistero da credere e basta, perché la fede professata comporta una sua credibilità da dimostrare ed argomentare, perché la mente, illuminata dalla grazia, cerchi di accogliere il mistero e di affidarsi ad esso. È necessario prendere consapevolezza di quanto noi crediamo, perché una fede non interiorizzata, non nutre la nostra vita ed attende sempre di essere meglio compresa. Nella dinamica educativa, bisogna sempre rispondere alle domande che ci vengono poste oppure porle anche noi, per vedere in che modo ci sia la consapevolezza e come ciascuno cerca di vivere e testimoniare la fede professata e compresa. Tante volte noi adulti prendiamo sotto gamba le domande dei giovani, sorridendo della profondità che dimostrano, rimandiamo ad un domani indefinito il dialogo, per fuggire l’imbarazzo di non saper rispondere oppure di non essere stati come essi dimostrano di essere, quando avevamo la loro stessa l’età. Dobbiamo, invece, preoccuparci quando non ci verranno fatte più domande dai nostri giovani, perché questo significa o che non si pongono più problemi – cosa piuttosto strana! – o che non ci reputano in grado di comprendere le domande che si pongono oppure di rispondere in maniera esaustiva. È nel dialogo che si crea la comunione, nello scambio le relazioni crescono ed i nostri rapporti si consolidano. Mai fuggire il confronto, come è bene mai lasciare insoluto un dilemma oppure senza risposte una domanda posta. Al tempo stesso, come Paolo dimostra bene di fare, è altrettanto fondamentale usare le giuste parole e servirsi anche di immagini facilmente comprensibili per chi ascolta, perché i dubbi si dileguino e la serenità ritorni lì dove l’animo ha conosciuto l’inquietudine ed il disorientamento dell’incomprensione.

Donami, o Signore, di approfondire il mistero della fede che professo ogni domenica, di credere con consapevolezza, di accogliere con gioia, di non aver paura delle domande che cuore e mente pongono alla mia fede, che sembra di cadere, ogni qualvolta vede di lontano avvinarsi qualche dubbio. Non sono, infatti, i dubbi che impediscono l’atto di fede, ma l’incapacità di mettersi in movimento, con la mente ed il cuore, per camminare verso Cristo, che è la risposta ad ogni nostra domanda di senso. Rendi la mia famiglia e comunità un laboratorio vivo, al pari del cenacolo, nel quale la luce dello Spirito guidava i credenti alla verità tutta intera del mistero del Risorto. Donaci la capacità di accogliere le sfide dell’uomo di oggi e di offrire risposte, secondo il tuo Vangelo, perché la potenza della tua resurrezione sia l’orizzonte che sostiene l’impegno e la speranza di ogni uomo.

Tra il primo e l’Ultimo un abisso

Nel corso della sua argomentazione, nella volontà di chiarire il modo in cui i credenti parteciperanno alla resurrezione del loro Signore, l’Apostolo mette in confronto Adamo con Cristo. A ben vedere, non si tratta di un paragone che Paolo presenta per la prima volta, visto che rappresenta un luogo comune nelle sue Epistole – si pensi, ad esempio, alla Lettera ai Romani – anche se differenti sono i contesti nei quali egli sviluppa questa tipologia. Il brano liturgico omette l’ultima parte del versetto 45, che rappresenta l’introduzione del successivo. In esso leggiamo “Se c’è un corpo animale, vi è anche un corpo spirituale. Sta scritto infatti che il primo uomo, Adamo, divenne un essere vivente, ma l’ultimo Adamo divenne spirito datore di vita”. In tal modo, il primo versetto della pericope liturgica è la spiegazione del precedente e rappresenta una citazione di Gen 2,7 “Allora il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente”. Paolo vuole dire che nell’uomo coesistono due realtà, quella del corpo animale, che richiama la polvere del suolo, da cui il Signore ci ha tratti, e quella spirituale, che deriva dal principio vitale insufflato da Dio nel composto umano, plasmato dalle sue mani. In quanto essere vivente, l’uomo è soggetto alla legge della corruzione e del deperimento, a cui nessuno può dirsi immune, ma “l’ultimo Adamo divenne spirito datore di vita” (v. 45b). Mentre il primo uomo trasmette ai suoi discendenti quella vita naturale, che è già il segno della cura provvidente di Dio, la solidarietà con l’ultimo Adamo, che deriva dalla fede e dalla grazia battesimale, invece, comunica ad ogni credente la partecipazione allo Spirito della vita che va oltre la morte. Il primo uomo dona quello che ha ricevuto, Cristo risorto concede a quanti credono in Lui la vita eterna, che trascende le categorie naturali. È questo il significato dell’espressione “spirito datore di vita”. Egli, infatti, con la sua Pasqua, “divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono, essendo stato proclamato da Dio sommo sacerdote secondo l’ordine di Melchisedek” (Eb 5,9-10). È il mistero della morte e resurrezione di Gesù, l’amore che il Padre ha riversato nel Figlio, obbediente fino alla morte di croce, che lo ha fatto risuscitare e, al tempo stesso, lo ha reso”datore di vita” a nostro favore.

Se riuscissimo a comprendere l’impareggiabile dono che ci viene dal battesimo e che la nostra fede nutre in noi, con la grazia dei sacramenti! Siamo simili ad Adamo per la vita naturale che ci trasmettono i nostri genitori, mentre partecipiamo alla vita del Risorto, per la grazia che Cristo gratuitamente ci dona, per sua sola misericordia. Dobbiamo sempre più comprendere che abbiamo un corpo, comprenderci ed accoglierci come corpo, senza credere che questo sia il carcere dell’anima. Senza voler assolutizzare la dimensione temporale, allo stesso tempo, è bene considerare sempre la potenza della vita che il risorto concede a ciascuno di noi. La parte spirituale dell’uomo, la nostra amina, è il segno della presenza in noi di Dio, che non solo ci ha creati, ma ci ha redenti, nella Pasqua del suo Figlio e ci ha resi partecipi della sua eredità nel cielo.
Oggi sembra più che mai importante chiarire i due ordini che riguardano la nostra vita sulla terra. L’uomo ha tutto livellato alla sola dimensione temporale e mondana e ciò che è spirituale sembra relegato, giudicato in modo sprezzante come realtà obsoleta e da accantonare, quasi priva di senso. Da questo comprendiamo quanto sia fondamentale oggi l’annuncio della resurrezione di Cristo, della nostra partecipazione alla sua vita risorto e, al tempo stesso, l’impegno a rendere ragione della modalità che avremo una volta risorti con Cristo, a vita nuova. Non possiamo, infatti, menomare il nostro annuncio e, per viltà, non parlare delle realtà ultime che caratterizzano la nostra fede. Non siamo fatti di sola materia, né camminiamo verso la morte, come se non avessimo speranza. “Cristo è risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti” è questo che dobbiamo gridare a coloro che vivono senza speranza, che credono nel buio che tutto avvolge, una volta valicata la morte, nel non senso che ogni umana realtà divora, in maniera inesorabile. Dobbiamo dare al mondo di oggi la speranza dell’eternità, fai nascere nei cuori la nostalgia della bellezza dell’amore di Dio, di cui ciascuno ha un segno nel proprio cuore, seminare la speranza e accompagnare ogni uomo ad attraversare la valle del dolore, sapendo che nulla è impossibile all’amore di Dio. Pensare all’eternità ci porta a considerare diversamente la nostra storia, a godere del bene e del bello, a custodire l’amore, ogni rapporto, sapendo che nulla andrà perduto e che tutto avrà un senso, nel mondo che verrà ala fine dei tempi, nel regno che Dio prepara per quanti credono nella potenza della sua Pasqua. Quante volte viviamo, pensiamo, crediamo, o meglio, pensiamo di poter credere, perdendo l’orizzonte della resurrezione di Cristo? Senza di Lui, sono solo simile ad Adamo, porto la sua immagine di terra, non ho lo Spirito della vita che solo il Risorto è capace di concedermi, perché è Lui che l’ha ottenuta dal Padre, a prezzo del suo sangue.

Nelle nostre famiglie e comunità, non possiamo seguire la mode del secolo, evitando di parlare delle realtà ultime e misconoscendo o edulcorando la morte, credendo che meno se ne parla e meglio è. Dobbiamo guardare in faccia sorella Morte – come la chiamava san Francesco, sapendo che Cristo ha vinto l’oscurità del sepolcro ed è salito in cielo, per prepararci un posto nel suo regno. È bello pensare la nostra vita futura un giorno in cielo, insieme con tutte le persone a noi care, così come risulta bello e significativo, vivere qui in terra da persone risorte, che camminano nella speranza di partecipare un giorno al banchetto eterno, ma che, qui in terra, lavorano per un mondo più giusto e fraterno. Il pensiero dell’eternità non deve portarci a disinteressarsi di questo mondo, in nome dell’altro mondo, ma ad agire perché la vita di perfetta comunione e carità dell’altro determini un cambiamento anche in questo, per la forza dello Spirito Santo che abita in noi. Vivere da risorti significa proprio immettere nei solchi della storia la potenza della vita, capace di vincere ogni cultura di morte.

Signore Gesù, sono simile ad Adamo per il mio corpo, tratto dalla terra, ma nel Battesimo ho ricevuto in dono la caparra del tuo Spirito, che mi fa vivere già da ora l’appartenenza a Te, nuovo Adamo, vero Adamo. Tu sei datore di vita, la tua parola è Spirito e vita, non lasciarmi vagare nelle tenebre, non permettere che l’uomo di oggi non conosca il tuo Vangelo, non senta il tuo annuncio, non incontri la potenza della tua croce, che trasforma in vita la morte. Dona la vita, nel tempo e nell’eternità, la vita dell’amore e della gioia, della grazia e della pace, donala ad ogni uomo che ha perso la rotta, ad ogni viandante che brancola nel buio, ad ogni figlio che non sa o non vuol sapere che Tu sei il porto sicuro di ogni burrascosa navigazione.

Portare l’immagine del Risorto

L’Apostolo conosce bene quanto sia difficile per il discepolo di Cristo portare il passo con il suo Maestro e Signore, difficile però, non significa impossibile, dal momento che “nulla è impossibile a Dio” (Lc 1,37). C’è nell’uomo, sembra dire Paolo, la parte naturale e l’altra spirituale – aveva scritto in precedenza “Se c’è un corpo animale, vi è anche un corpo spirituale” (v. 44) – perché dipendiamo sia da Adamo, “Il primo uomo tratto dalla terra”, che da Cristo, l’uomo celeste, passato attraverso la morte, il Vincitore sugli inferi. “E come abbiamo portato l’immagine dell’uomo di terra, così porteremo l’immagine dell’uomo celeste” (v. 49). L’impegno della vita cristiana sta proprio nel vivere in questa tensione, sapere di essere fatti di terra, ma senza lasciarsi livellare dalla realtà materiale, vivere nella speranza di partecipare un giorno alla gloria del Signore risorto. Dobbiamo, infatti, passare attraverso la morte, il mistero che tanto ci spaventa ed atterrisce e che possiamo superare solo nella fede del Figlio di Dio, “che mi ha amato e ha dato se stesso per me” (Gal 2,20). È il suo amore che ci salva, la sua vittoria che nutre la speranza di non essere inghiottiti dal nulla, ma di partecipare, per un puro dono di grazia, ad una vita che non avrà mai fine. In tal modo, il cristiano porta in sé l’immagine di Adamo, la sua esistenza è scandita dalla finitudine e dal limite, dalla debolezza e dalla morte. È importante accogliere con fede la condizione che è propria di ogni creatura, senza ribellarsi o far finta di nulla. Vivere da persone riconciliate con la propria vita non significa solo accogliere le situazioni dolorose e i traumi del passato e neppure non lasciarsi portare da quello che la quotidianità ci propone, ma vuol dire prima di tutto guardare in faccia la creaturalità di cui siamo fatti, la polvere da cui fummo plasmati, il limite che ci caratterizza e la precarietà che ci costituisce. L’eterna giovinezza è un mito che esiste solo nella nostra fantasia. Portiamo con noi i segni del tempo che passa, per la solidarietà con Adamo, il nostro corpo è soggetto alla trasformazione degli anni e siamo continuamente chiamati a riconoscerci in un corpo che muta. Questo è importante nella relazione con se stessi, oltre che con le persone che ci sono accanto. Dobbiamo imparare a portare “l’immagine dell’uomo di terra”, senza scandalizzarci. Non possiamo vivere nell’illusione di essere sempre giovani, nascondendo i segni del tempo, come la società ci insegna a fare, neppure dobbiamo vivere nella tristezza e nel pessimismo, visto che non siamo fatti solo di terra. Se riuscissimo, rispetto alla vita materiale, a mettere più attenzione – andrebbe bene anche la stessa cura! – alla nostra vita spirituale, alla giovinezza del cuore, alla relazione con Dio, alla comunione d’amore con Lui e di servizio nei riguardi dei fratelli. La nostra speranza risiede nella consapevolezza che “porteremo l’immagine dell’uomo celeste”. Siamo fatti per il Cielo, per godere di Dio eternamente e questo comporta che nei nostri rapporti dobbiamo aiutarci a costruire questa dimora eterna, dove abiteremo per sempre. Il marito deve aiutare la moglie a portare già su questa terra non solo l’immagine di Adamo, ma anche di Cristo, non perfetta come sarà un giorno, ma a costruirla attraverso il quotidiano impegno e la docilità offerta con gioia alla volontà di Dio. Così anche la sposa deve riconoscere che il bene del suo sposo, il bene dell’eternità si costruisce già in terra. Portare l’immagine del Risorto significa vivere come Lui, in questa vita e nell’altra, lasciare che la potenza del suo amore gradualmente ci trasformi, rendendoci creature nuove. La nostra bellezza sta nell’avere i lineamenti di Cristo e nel lasciare che lo Spirito ci conduca a vivere da risorti, già su questa terra.

O Spirito della vita nuova, che renderai un giorno glorioso il nostro corpo, simile a quello di Gesù, passato attraverso la morte, guidaci a comprendere che non siamo fatti solo di terra, e che tu, ponendo in noi la tua dimora, prepari il nostro cuore a vivere in eterno. Guidaci a vivere già ora del’amore e del dono delle Tre divine Persone e concedici di riflettere non solo l’immagine del primo uomo, ma del vero Uomo, di Gesù Cristo, i suoi sentimenti in noi trasformino la vita delle nostre famiglie e ci conducano ad essere tempio di quell’amore tuo che vince la morte e ci porta a vivere per sempre.




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