
Siamo incapaci
di don Silvio Longobardi
Dal Vangelo secondo Marco (Mc 9,14-29)
In quel tempo, [Gesù, Pietro, Giacomo e Giovanni, scesero dal monte] e arrivando presso i discepoli, videro attorno a loro molta folla e alcuni scribi che discutevano con loro. E subito tutta la folla, al vederlo, fu presa da meraviglia e corse a salutarlo. Ed egli li interrogò: «Di che cosa discutete con loro?». E dalla folla uno gli rispose: «Maestro, ho portato da te mio figlio, che ha uno spirito muto. Dovunque lo afferri, lo getta a terra ed egli schiuma, digrigna i denti e si irrigidisce. Ho detto ai tuoi discepoli di scacciarlo, ma non ci sono riusciti». Egli allora disse loro: «O generazione incredula! Fino a quando sarò con voi? Fino a quando dovrò sopportarvi? Portatelo da me». E glielo portarono. Alla vista di Gesù, subito lo spirito scosse con convulsioni il ragazzo ed egli, caduto a terra, si rotolava schiumando. Gesù interrogò il padre: «Da quanto tempo gli accade questo?». Ed egli rispose: «Dall’infanzia; anzi, spesso lo ha buttato anche nel fuoco e nell’acqua per ucciderlo. Ma se tu puoi qualcosa, abbi pietà di noi e aiutaci». Gesù gli disse: «Se tu puoi! Tutto è possibile per chi crede». Il padre del fanciullo rispose subito ad alta voce: «Credo; aiuta la mia incredulità!». Allora Gesù, vedendo accorrere la folla, minacciò lo spirito impuro dicendogli: «Spirito muto e sordo, io ti ordino, esci da lui e non vi rientrare più». Gridando, e scuotendolo fortemente, uscì. E il fanciullo diventò come morto, sicché molti dicevano: «È morto». Ma Gesù lo prese per mano, lo fece alzare ed egli stette in piedi. Entrato in casa, i suoi discepoli gli domandavano in privato: «Perché noi non siamo riusciti a scacciarlo?». Ed egli disse loro: «Questa specie di demòni non si può scacciare in alcun modo, se non con la preghiera».
Il commento
“Ho detto ai tuoi discepoli di scacciarlo, ma non ci sono riusciti” (9,18). È solo un dettaglio di un racconto ampio e particolareggiato e tuttavia a me sembra un passaggio non proprio marginale. Al centro della scena c’è l’angoscia di un padre che non sa più cosa fare per liberare il figlio dal male oscuro che minaccia la sua vita: “Dovunque lo afferri, lo getta a terra ed egli schiuma, digrigna i denti e si irrigidisce” (9,18). L’unica speranza si chiama Gesù. Allora si reca da Lui ma trova i discepoli e sperimenta che anch’essi sono incapaci di vincere il male. Hanno tentato ma senza successo. Fermiamoci a contemplare questa scena. Quante volte la Chiesa vive la stessa esperienza e sperimenta di non avere la forza necessaria per rispondere al grido angoscioso dell’umanità. E tuttavia, se riconosciamo la nostra impotenza senza alzare bandiera bianca, se facciamo del nostro limite oggettivo la finestra per uscire dalla prigione della presunzione, se ci mettiamo in preghiera per chiedere forza a Colui che è Onnipotente, allora faremo esperienza della grazia e potremo dare all’umanità quello che viene dal Cielo. Se invece non riconosciamo il nostro limite, se cerchiamo con le nostre forze di rispondere al male che è nel mondo, non solo daremo una risposta parziale e inadeguata ma anche fuorviante. Qui non si tratta soltanto di una malattia fisica ma di quel disagio che abbraccia tutta l’esperienza umana, nella vicenda di questa famiglia (padre e figlio) sono rappresentate tutte le esigenze più profonde del cuore umano. La Chiesa non ha la forza, la chiede e la riceve. Ogni giorno dobbiamo riconoscere di essere incapaci e ogni giorno supplicare il Signore di darci la forza necessaria. Nei racconti delle apparizioni di Fatima, c’è un episodio esemplare. Una povera donna s’inginocchia dinanzi a Francesco, uno dei pastorelli, e gli chiede di guarire suo figlio. Il ragazzo non rifiutò ma s’inginocchiò accanto a lei e disse: “Preghiamo insieme”. Un’immagine stupenda. Oggi chiediamo di essere una Chiesa che crede e prega, chiede e accoglie la grazia. Una Chiesa che ama tutti con la carità di Dio.
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