
L’ombra del male
di don Silvio Longobardi
Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 20,17-28)
In quel tempo, mentre saliva a Gerusalemme, Gesù prese in disparte i dodici discepoli e lungo il cammino disse loro: «Ecco, noi saliamo a Gerusalemme e il Figlio dell’uomo sarà consegnato ai capi dei sacerdoti e agli scribi; lo condanneranno a morte e lo consegneranno ai pagani perché venga deriso e flagellato e crocifisso, e il terzo giorno risorgerà». Allora gli si avvicinò la madre dei figli di Zebedèo con i suoi figli e si prostrò per chiedergli qualcosa. Egli le disse: «Che cosa vuoi?». Gli rispose: «Di’ che questi miei due figli siedano uno alla tua destra e uno alla tua sinistra nel tuo regno». Rispose Gesù: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io sto per bere?». Gli dicono: «Lo possiamo». Ed egli disse loro: «Il mio calice, lo berrete; però sedere alla mia destra e alla mia sinistra non sta a me concederlo: è per coloro per i quali il Padre mio lo ha preparato». Gli altri dieci, avendo sentito, si sdegnarono con i due fratelli. Ma Gesù li chiamò a sé e disse: «Voi sapete che i governanti delle nazioni dòminano su di esse e i capi le opprimono. Tra voi non sarà così; ma chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore e chi vuole essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo. Come il Figlio dell’uomo, che non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».
Il commento
“Il Figlio dell’uomo sarà consegnato ai capi dei sacerdoti e agli scribi” (20,18). È il terzo annuncio della passione, quello più esplicito. Gesù parla di due consegne: la prima è espressa con un passivo e allude al traditore; la seconda sarà attuata proprio dalle autorità religiose che chiederanno al potere civile di intervenire con spietata durezza (20,19). L’annuncio della passione, ripetuto più volte, è un gesto di grande tenerezza e, al tempo stesso, un segno della responsabilità educativa: Gesù prepara i discepoli agli eventi che stavano per accadere, sapeva bene quello che tramavano contro di Lui. Il Maestro non teme di dire parole che possono turbare, non cancella le ombre che si addensano, la sua speranza è realistica non sconfina mai nell’illusione. Si prepara alla battaglia e prepara gli amici ad affrontare una realtà dolorosa e difficile da comprendere perché è promossa proprio da coloro che hanno l’autorità religiosa e, per conseguenza, sono i principali interpreti della Legge di Dio.
Queste parole non sono destinate alla folla e neppure al gruppo dei discepoli ma solo ai Dodici. L’espressione “in disparte” (20,17) fa pensare ad uno spazio di solitudine rivestito di preghiera, un contesto in cui quella Parola poteva risuonare con maggiore forza. Non tutti possono ascoltare parole come queste. Vi sono cose che si possono dire solo agli amici, come confidenze appena sussurrate. Tutto questo rappresenta per noi una salutare provocazione. Essere amici di Gesù vuol dire vivere con la consapevolezza che nella storia umana c’è un male oscuro che genera odio e violenza, c’è una radicale opposizione al progetto di Dio. Lo scenario non è mai del tutto sereno, l’ombra del male accompagna ogni epoca e suscita legittime inquietudini. Il cristiano è un uomo di speranza, s’impegna a fare il bene con grande senso responsabilità ma non cade nell’illusione di poter vincere il male. Anzi, resta sempre vigilante perché sa che il male è sempre all’opera. Se vogliamo fare il bene dobbiamo chiedere la forza di sopportare l’odio, restando ben radicati nell’amore. È la grazia che oggi chiediamo.
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