
Andare oltre senza diventare altro
di don Silvio Longobardi
Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 5,17-19)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento. In verità io vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà un solo iota o un solo trattino della Legge, senza che tutto sia avvenuto. Chi dunque trasgredirà uno solo di questi minimi precetti e insegnerà agli altri a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà, sarà considerato grande nel regno dei cieli».
Il commento
“Non sono venuto per abolire [katalûsai] ma a dare pieno compimento” (5,17). Abolire è una traduzione soft, il verbo greco katalúō significa abbattere, distruggere, sovvertire, scartare. Gesù afferma chiaramente che non vuole cancellare la legge antica. Eppure queste parole sono poste sulla soglia di un insegnamento in cui, con grande determinazione, egli annuncia che la sua dottrina presenta un orizzonte radicalmente nuovo rispetto al passato. Dobbiamo leggere questa parola – che assume la forma di una vera e propria regola di vita – nel contesto di quel conflitto che ha opposto Gesù alle autorità religiose; ed ha segnato per lungo tempo la vita della primitiva comunità cristiana. Nella logica del Vangelo proporre la novità non significa inevitabilmente entrare in opposizione con quanti ci hanno preceduto. Sulle orme di questo insegnamento, la Chiesa primitiva ha difeso l’unità e la continuità tra la Legge antica e quella nuova. “Dio, ispiratore e autore dei libri dell’uno e dell’altro testamento, ha sapientemente disposto che il nuovo fosse nascosto nell’antico e l’antico diventasse chiaro nel nuovo” (Dei Verbum, 15).
Dare compimento significa far germogliare i frutti di quello che era stato seminato nella storia d’Israele. La novità del Vangelo conduce oltre ma non è altro rispetto al passato. Questa parola può avere tante e diverse applicazioni nella vita della Chiesa, specie in un’epoca in cui la coscienza di avere cose nuove da dire si traduce spesso in un’orgogliosa distanza rispetto alla tradizione e ci porta a ritenere superati quei valori che hanno segnato la storia bimillenaria del cristianesimo. Siamo chiamati a intrecciare passato e futuro. Dare compimento significa manifestare nell’oggi della storia la forza e la fecondità dell’unico Vangelo. Non siamo semplici ripetitori ma abbiamo il dovere di raccogliere fedelmente il patrimonio della tradizione per riscriverlo in modo nuovo. Senza fedeltà non c’è più storia, la Chiesa rischia di assomigliare ad una barca sospinta dai venti dell’oggi. La coscienza di questo pericolo alimenta una preghiera ancora più intensa.
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