Eutanasia
La vita umana? Un diritto da preservare anche contro la malattia. A dirlo la Cassazione tedesca
di Ida Giangrande
Il figlio esige un risarcimento perché a suo padre, malato di demenza senile, non era stata staccata l’alimentazione artificiale. La Corte di Cassazione federale tedesca respinge il ricorso e nella sentenza ribadisce: la vita non è mai un danno, il giudizio sul suo valore non è aperto a terzi. Per questo motivo, è vietato considerare la vita come una perdita anche di fronte a una malattia.
Nostro malgrado siamo spesso costretti a tratteggiare i contorni di una vera e propria strage bianca quando parliamo di aborto e di eutanasia, esattamente come accade nelle retrovie di un paese in guerra. Sono molti gli Stati in Europa dove la dolce morte è diventata un diritto, il segno di una emancipazione civile e sociale. Olanda e Belgio aprono la lista, ma seguono in una vasta gamma di possibilità, Lussemburgo, Svizzera, e poi Francia, Gran Bretagna, alcuni dei Paesi più importanti d’Europa. I più ricchi. Un filo rosso sottilissimo che segue una logica inquietante: dove maggiore è la ricchezza e il benessere sociale, minore è il valore della vita umana.
Ma, come succede di frequente in questa vita tanto imprevedibile, d’improvviso una sentenza ribalta la situazione e apre uno scenario di speranza. La vita umana è un diritto da preservare. Un concetto apparentemente chiaro che però acquisisce un valore più alto se a dirlo è la Corte di Cassazione federale tedesca chiamata a sentenziare sul supporto vitale con alimentazione artificiale.
In sostanza la Corte ha respinto il ricorso di un uomo il cui padre, ammalatosi di demenza senile, è stato alimentato tramite Peg per 5 anni. Il figlio aveva citato il medico curante sostenendo che la nutrizione artificiale avesse solo prolungato la malattia ed esigendo «il risarcimento per il dolore e per le spese di cura e assistenza». L’Alta Corte aveva concesso un indennizzo di 40mila euro, ma la Cassazione ha ribaltato il giudizio perché «lo stato di sopravvivenza» reso possibile dall’alimentazione «contrasta con lo stato che si sarebbe verificato se la dieta artificiale fosse stata sospesa, cioè la morte».
La vita non è mai un danno, spiega la Corte, aggiungendo che «il giudizio sul suo valore non è aperto a terzi. Per questo motivo, è vietato considerare la vita come una perdita» anche nel caso sia provata dalla malattia.
Speriamo solo che questa sentenza possa fare da apripista a una nuova forma di approccio verso la malattia e il dolore, ma soprattutto speriamo che possa richiamare in causa il valore della vita senza ma e senza se.
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