Famiglia

Come televisione, radio, giornali e web trasformano il cuore in un androide

virtuale

di Ida Giangrande

Da oggi il mio nuovo blog. Uno spazio dove poter riflettere, senza alcuna pretesa, su come i media e il web stanno condizionando il nostro modo di intessere relazioni di senso. Si parte quindi con questo primo appuntamento dedicato alle immagini shock.

Sono stranamente seduta sul divano in uno di quei sempre più rari momenti di tranquillità che la mia giornata mi permette. Mentre penso a quello che dovrò fare da lì a qualche minuto, prendo istintivamente il telecomando e comincio a fare zapping. In realtà non sono in cerca di qualcosa da vedere. Le immagini mi scorrono davanti agli occhi in un caleidoscopio indistinto di suoni e colori quasi invisibili, ma improvvisamente, qualcosa buca lo schermo e attira la mia attenzione. La scena è più o meno questa: un soggetto maschile non meglio identificato, corre inseguito da qualcuno in un sentiero scuro. Eccolo sbucare davanti a una personificazione dell’ultima cena di Leonardo. L’unico personaggio riconoscibile è Gesù Cristo con barba e toga, le altre sono figure strane piuttosto inquietanti, immerse nella penombra di un’atmosfera spettrale. Sul tavolo oltre a un calice sporco di vino che sembra sangue, ci sono disseminati pezzi di corpi amputati, braccia, gambe, dita e tutto il resto. Mi fermo basita, come se un pugno mi avesse colpita allo stomaco. Mi domando il senso di quelle immagini mentre la sequenza continua ad offrirmi scene di sangue, croci e chiodi che dissacrano il credo di una confessione religiosa degna di rispetto quanto tante altre. 

Il telefilm in questione è “Blood drive” e se non lo avete mai visto è sinceramente meglio così. Si tratta di una serie televisiva fantascientifica statunitense creata da James Roland, per la rete via cavo Syfy che racconta di macchine alimentate con sangue umano e di un universo dove l’umanità è diventata proprio tutto tranne che umana. Ah quasi dimenticavo, orario della trasmissione? Ore 15.00 quando cioè ogni adolescente o bambino potrebbe incapparvi. 

Basta sono stanca di vedere sangue. Giro canale cercando qualcosa di meglio ed ecco comparire sullo schermo “Shamless”, altra serie televisiva, sempre statunitense, che racconta la storia di una famiglia allo sbando, una di quelle che abita i sobborghi di periferia dove di madre non si parla, il padre è un alcolizzato e anche drogato e a sobbarcarsi il peso di sei figli e la più grande tra i fratelli, Fiona. La ciliegina sulla torta? Scene ad alto contenuto erotico per tutti i gusti ovviamente. Ma non è tutto, tra remake di cinquanta sfumature di non si capisce bene cosa e il Grande Fratello non so proprio cosa sia peggio, arrivo a Canale Cinque ed ecco il tribunale mediatico della D’Urso che sta intervistando i genitori della scuola di Gavirate dove due maestre sono state arrestate per maltrattamenti sui bambini del nido, mentre sullo sfondo le immagini delle violenze si ripetono all’infinito. Il mio cuore di madre trema. Non posso tollerare, spengo il televisore e la mia mente comincia a girare nel silenzio della stanza. Non riesco ad afferrare i mie pensieri, si inseguono l’uno dietro l’altro in un girotondo inquieto animati da disagio, paura, tensione. Quei pochi minuti di relax si sono trasformati in una sequenza amara di stimoli nefasti, violenti e angoscianti. Mi ritrovo impressionata a fuggire dalla galleria degli orrori che molte pay tv e non, propongono a qualsiasi ora del giorno.

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Quelle immagini tanto violente e crude mi hanno scossa ad un livello profondo, emotivo. È così piacevole vedere come muore una persona? Cosa c’è di spettacolare? Cosa c’è di artistico? Contrariamente a quello che molti credono ciò che vediamo non rimane sull’epidermide a livello superficiale, entra nel cuore e il cuore è la porta d’accesso dell’anima. Le immagini forti a cui crediamo di essere abituati non scivolano addosso come l’acqua su un impermeabile, penetrano nell’inconscio, a poco a poco condizionano il comportamento, il nostro modo di ragionare, pregiudicano la naturale tendenza dell’uomo a cercare l’altro, l’amore, il vero, il buono, il bello. Chi lavora nel mondo della comunicazione mediatica conosce bene l’impatto che una figura proiettata può avere sulla mente umana e sa come sfruttare la capacità di immedesimazione delle persone per creare un corto circuito tra intelletto e sentimento, quello che comunemente definiamo shock. L’esposizione a sequenze efferate può portare a due reazioni: da un lato la desensibilizzazione, dall’altro l’ansia e la paura fino alla perdita di senso del concetto stesso di dolore e di vita.

Il gusto dell’orrido ha preso il sopravvento un po’ ovunque, anche in amore. Al classico principe azzurro oggi la televisione sostituisce vampiri assetati di sangue e, come per magia, la finzione diventa realtà. Come non notare ad esempio che la timeline di Facebook è tempestata di immagini e video raccapriccianti? Attimi e istanti rubati alla privacy di chi li vive drammaticamente e rilanciati nel circo mediatico pubblico e privato, dove tutto fa spettacolo, il dolore di una madre che piange sul bambino disintegrato da un attacco chimico. Lo scenario inquietante dei cadaveri distesi sull’asfalto dopo l’attacco terroristico a Nizza. Insomma possiamo proprio stupirci se i nostri figli conoscono così bene il linguaggio della violenza? Se tutto quello che vogliono è predominare sugli altri? 

I dati parlano chiaro, bullismo e baby gang sembrano essere il diletto principale di molti giovani. I casi di cronaca continuano a denunciare vandalismo e cattivo costume, totale assenza di regole e di rispetto nei confronti dell’autorità. La colpa ovviamente è della famiglia sempre più assente e distratta, ma se a questa aggiungiamo un panorama mediatico che ci propina solo veleno omogenizzato, come pensiamo di spuntarla? 

Fermare tutto questo è possibile? Sì, se i mass media cominciano a porsi il problema e a tutelare lo spettatore invisibile. Sì, se impariamo a leggere i media con uno spiccato senso critico. Ecco la funzione di questo nuovo blog, riflettere insieme su come i modelli culturali presentati da cinema, televisione, radio, giornali e web condizionano il cuore dell’uomo, la sua capacità di intessere relazioni di senso, fino a snaturare l’anima trasformando l’amore in un androide, un robot che rispetta delle regole meccaniche e si muove nei confini del dark tracciati dal sentire comune, dalla moda del momento.

 




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