
Non manca mai all’appello
di don Silvio Longobardi
Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 21,1-14)
In quel tempo, Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare di Tiberiade. E si manifestò così: si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso detto Dìdimo, Natanaèle di Cana di Galilea, i figli di Zebedèo e altri due discepoli. Disse loro Simon Pietro: «Io vado a pescare». Gli dissero: «Veniamo anche noi con te». Allora uscirono e salirono sulla barca; ma quella notte non presero nulla. Quando già era l’alba, Gesù stette sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù. Gesù disse loro: «Figlioli, non avete a da mangiare?». Gli risposero: «No». Allora egli disse loro: «Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete». La gettarono e non riuscivano più a tirarla su per la grande quantità di pesci. Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: «È il Signore!». Simon Pietro, appena udì che era il Signore, si strinse la veste attorno ai fianchi, perché era svestito, e si gettò in mare. Gli altri discepoli invece vennero con la barca, trascinando la rete piena di pesci: non erano infatti lontani da terra se non un centinaio di metri. Appena scesi a terra, videro un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane. Disse loro Gesù: «Portate un po’ del pesce che avete preso ora». Allora Simon Pietro salì nella barca e trasse a terra la rete piena di centocinquantatrè grossi pesci. E benché fossero tanti, la rete non si spezzò. Gesù disse loro: «Venite a mangiare». E nessuno dei discepoli osava domandargli: «Chi sei?», perché sapevano bene che era il Signore. Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede loro, e così pure il pesce. Era la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli, dopo essere risorto dai morti.
Il commento
“Dopo questi fatti, Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare di Tiberìade” (21,1). Queste parole introduttive trovano la loro corrispondenza in quelle conclusive: “Era la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli, dopo essere risorto dai morti” (21,14). Tutto il quarto Vangelo è sotto il segno della manifestazione, a partire da Cana di Galilea dove avviene il primo dei segni (2,11) e dove il Rabbì di Nazaret “manifestò [ephanérōsen] la sua gloria” (2,11). Nella scena che chiude il suo Vangelo Giovanni pone un’altra manifestazione, quella decisiva. In questo racconto, infatti, Gesù svela in pienezza la sua identità. Sul lago di Tiberiade egli si manifesta come il Vivente (“stette sulla riva”), il Maestro (“gettate la rete”), il Signore (“prese il pane”). Prima e aldilà dei numerosi e interessanti dettagli, che l’evangelista dissemina nella narrazione, vorrei richiamare il verbo manifestare che racchiude la bella notizia che risuona a Pasqua e che la Chiesa deve annunciare in ogni tempo: “Morte e vita / si sono affrontate / in un prodigioso duello. Il Signore della vita era morto ; / ma ora, vivo, trionfa”. Gesù vive per sempre, non resta nascosto ma si rende visibile. La sua è una presenza antica e nuova, porta i segni del passato (l’invito a gettare le reti rimanda agli inizi) ma è rifiorita nella luce della Pasqua. È il Signore della storia, entra in ogni tempo e in ogni luogo, accompagna il cammino della Chiesa, si mostra specialmente nei tornanti decisivi della storia personale e collettiva, nei momenti in cui calano le tenebre della rassegnazione. Non manca mai all’appello. L’evangelista scrive che “si manifestò di nuovo” (21,1), cioè in modo nuovo. È Lui che sospinge la Chiesa verso il futuro e le impedisce di chiudersi nella nostalgia del passato. Anche oggi si manifesta, anche noi siamo raggiunti da questa perenne novità che cambia il volto della storia umana. “Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi?” (Rm 8,31). È questo il grido della fede. Non possiamo avere paura noi che abbiamo come Maestro e Salvatore Colui che vive in eterno e dona una vita senza fine.
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