
Il timbro della fatica
di don Silvio Longobardi
Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 13,54-58)
In quel tempo Gesù, venuto nella sua patria, insegnava nella loro sinagoga e la gente rimaneva stupita e diceva: «Da dove gli vengono questa sapienza e i prodigi? Non è costui il figlio del falegname? E sua madre, non si chiama Maria? E i suoi fratelli, Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda? E le sue sorelle, non stanno tutte da noi? Da dove gli vengono allora tutte queste cose?». Ed era per loro motivo di scandalo.
Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria e in casa sua». E lì, a causa della loro incredulità, non fece molti prodigi.
Il commento
“Da dove gli vengono questa sapienza e i prodigi? Non è costui il figlio del falegname?” (13, 54-55). La prima parola del NT sul lavoro è quella proclamata a Nazaret. La testimonianza precede l’insegnamento, prima di parlare all’uomo Dio sceglie di condividere con l’uomo. Se vogliamo comprendere l’autentico significato del lavoro, dobbiamo fare tappa a Nazaret. Nella Lettera Redemptoris custos (1989), dedicata all’umile ma straordinaria figura di san Giuseppe, Giovanni Paolo II fa riferimento anche al lavoro e lo presenta come un’espressione quotidiana di quell’amore che riveste di letizia la vita della Santa Famiglia. Il Figlio di Dio ha voluto condividere in tutto la condizione umana ed ha fatto perciò anche l’esperienza del lavoro, anzi ha vissuto la maggior parte della sua vita terrena nell’umiltà e nel nascondimento di Nazaret, lavorando e faticando come tutti. Per questo motivo i suoi compaesani rimangono stupiti quando lo sentono parlare, non comprendono come sia possibile che un semplice ed umile lavoratore possa ora presentarsi loro con l’autorità di un Rabbì. La vicenda terrena di Gesù si rivela illuminante per comprendere il valore e il limite del lavoro. Nella luce della Pasqua, centro e cuore della storia di salvezza, possiamo comprendere e vivere l’attività umana secondo il disegno di Dio. La resurrezione segna l’inizio di una storia tutta plasmata dallo Spirito che ispira, purifica e fortifica tutti i propositi più veri che l’uomo porta in sé. Il lavoro appare come il mezzo ordinario con il quale l’uomo “perfeziona se stesso” (Gaudium et spes, 35) e trasforma la storia presente. In tal modo egli prepara il mondo futuro in cui “non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno” (Ap 21,4). Attraverso il lavoro sperimentiamo la fatica di costruire una storia nuova, ma nello stesso tempo impariamo a riconoscere la potenza di Dio che opera nella creazione attraverso la nostra capacità. La fede ci fa vivere anche il lavoro come un’umile ma feconda partecipazione alla storia del Regno che Dio costruisce lungo i secoli. Soli Deo gloria.
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