
Un vigoroso appello
di don Silvio Longobardi
Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 12,44-50)
In quel tempo, Gesù esclamò: «Chi crede in me, non crede in me ma in colui che mi ha mandato; chi vede me, vede colui che mi ha mandato. Io sono venuto nel mondo come luce, perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre. Se qualcuno ascolta le mie parole e non le osserva, io non lo condanno; perché non sono venuto per condannare il mondo, ma per salvare il mondo. Chi mi rifiuta e non accoglie le mie parole, ha chi lo condanna: la parola che ho detto lo condannerà nell’ultimo giorno. Perché io non ho parlato da me stesso, ma il Padre, che mi ha mandato, mi ha ordinato lui di che cosa parlare e che cosa devo dire. E io so che il suo comandamento è vita eterna. Le cose dunque che io dico, le dico così come il Padre le ha dette a me».
Il commento
“Chi mi rifiuta [athetōn] e non accoglie le mie parole, ha chi lo condanna: la parola che ho detto lo condannerà nell’ultimo giorno” (12,48). Le parole conclusive della prima parte del Quarto Vangelo, prima di raccontare gli eventi della passione, ricordano il contenuto essenziale della fede. Queste parole sono poste al termine di un lungo cammino costellato di segni che hanno mostrato in modo inequivocabile l’identità divina del Rabbì di Nazaret. Egli sa bene che la sua sorte è già segnata ma non viene meno alla sua missione, quella di salvare l’uomo. Per questo lancia un ultimo e vigoroso appello, chiede a tutti di accogliere le sue parole perché sono parole che hanno il timbro di Dio: “non ho parlato da me stesso, ma il Padre, che mi ha mandato, mi ha ordinato lui di che cosa parlare e che cosa devo dire” (12,49). “Chi mi rifiuta”: il verbo athetéō non indica solo una presa di distanza ma significa scartare, disprezzare. Tutto questo appartiene alla libertà che Dio stesso ha dato all’uomo. Ma dobbiamo sapere che rifiutare l’Inviato di Dio significa disprezzare Dio, chiudersi alla luce. Gesù è pronto ad accettare tutte le conseguenze di questo rifiuto, è disposto a morire, ma non può fare a meno di ricordare ai suoi interlocutori che nel giorno del giudizio dovranno rendere conto a Dio.
La Chiesa non è chiamata a lanciare anatemi e condanne, il suo compito prioritario è quello di annunciare un Dio che vuole donare ad ogni uomo vita e gioia. E tuttavia, proprio il desiderio di offrire a tutti la salvezza chiede di non trascurare la cornice drammatica della vita e di ricordare a tutti che le scelte dell’oggi hanno un’inevitabile ricaduta sulla vita futura. In questo modo la Chiesa aiuta l’uomo ad avere coscienza della sua responsabilità. Non basta dirlo a parole, coloro che annunciano il Vangelo devono mostrare con i fatti che hanno preso sul serio la Parola di Gesù perché sanno che in gioco c’è la salvezza eterna. Oggi chiediamo la grazia di testimoniare con dolcezza che solo in Gesù l’uomo può trovare gioia. In questa vita e in quella futura. È questo il contenuto essenziale della fede ed è questa la scelta decisiva.
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