
Credere di credere
di don Silvio Longobardi
Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 16,29-33)
In quel tempo, dissero i discepoli a Gesù: «Ecco, ora parli apertamente e non più in modo velato. Ora sappiamo che tu sai tutto e non hai bisogno che alcuno t’interroghi. Per questo crediamo che sei uscito da Dio». Rispose loro Gesù: «Adesso credete? Ecco, viene l’ora, anzi è già venuta, in cui vi disperderete ciascuno per conto suo e mi lascerete solo; ma io non sono solo, perché il Padre è con me. Vi ho detto questo perché abbiate pace in me. Nel mondo avete tribolazioni, ma abbiate coraggio: io ho vinto il mondo!».
Il commento
“Ora sappiamo che tu sai tutto e non hai bisogno che alcuno t’interroghi. Per questo crediamo che sei uscito da Dio” (16,30). È l’ultimo dialogo tra Gesù e i discepoli, prima di entrare nel racconto della passione. I Dodici affermano di aver maturato una chiara consapevolezza della sua identità. Lo esprimono con due verbi importanti dell’esperienza di fede: “ora sappiamo … ora crediamo”. È necessario riconoscere Gesù come l’Inviato di Dio, questa convinzione permette di dare stabilità alla propria vita. In queste parole tuttavia c’è poca umiltà, anzi, possiamo intravedere una buona dose di presunzione. È un pericolo sempre in agguato. E difatti Gesù rimprovera i discepoli, le sue parole non sono severe ma contengono un ammonimento: “Adesso credete? Ecco, viene l’ora, anzi è già venuta, in cui vi disperderete ciascuno per conto suo” (16, 31-32). Le parole non bastano, anzi spesso diventano una trappola perché danno l’illusione di credere. La fede si misura con la vita. È facile, durante la celebrazione eucaristica proclamare ad alta voce: “Credo in Dio Padre onnipotente”. Altra cosa è manifestare la fede nel contesto della vita quotidiana. È facile dire di credere nella Provvidenza, più difficile è compiere scelte in cui, per testimoniare il Vangelo, accettiamo la precarietà della vita. Vi sono quelli che credono di credere ma vivono nella prigione delle loro paure e non sono disposti a dare credito a Dio. Vi sono quelli che nutrono la fede di parole ma non fanno della loro vita un annuncio gioioso, un segno visibile di quel Dio che ama tutti. La presunzione di credere ci fa restare sulla soglia. Dimostra di essere vero discepolo colui che ogni giorno chiede umilmente la grazia di credere e il coraggio di compiere quelle scelte che sono più gradite a Dio. Un santo del nostro tempo, che aveva il gusto della concretezza della vita, insegnava a pregare così: “Dio mio: ogni giorno sono meno sicuro di me e più sicuro di Te” (Cammino, 729). È questa la fede che oggi chiediamo.
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