
Una comunione missionaria
di don Silvio Longobardi
Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 17,20-26)
In quel tempo, [Gesù, alzàti gli occhi al cielo, pregò dicendo:] «Non prego solo per questi, ma anche per quelli che crederanno in me mediante la loro parola: perché tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato. E la gloria che tu hai dato a me, io l’ho data a loro, perché siano una sola cosa come noi siamo una sola cosa. Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell’unità e il mondo conosca che tu mi hai mandato e che li hai amati come hai amato me. Padre, voglio che quelli che mi hai dato siano anch’essi con me dove sono io, perché contemplino la mia gloria, quella che tu mi hai dato; poiché mi hai amato prima della creazione del mondo. Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto, ma io ti ho conosciuto, e questi hanno conosciuto che tu mi hai mandato. E io ho fatto conoscere loro il tuo nome e lo farò conoscere, perché l’amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro».
Il commento
“Siano anch’essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato” (17,21). Gesù prega per i suoi discepoli e chiede al Padre che la Chiesa custodisca l’unità: non è solo un bene essenziale ma anche la premessa indispensabile per vivere la missione. Il progetto salvifico di Dio abbraccia tutta l’umanità, la Chiesa è solo il segno e lo strumento di quella salvezza che Dio vuole donare a tutti. La Chiesa “si sente realmente e intimamente solidale con il genere umano e con la sua storia” (Gaudium et spes, 1). La Chiesa non è un salotto in cui stare comodi, al riparo dai problemi, ma una comunità che accende e comunica il desiderio missionario. In nessun’altra parte del Vangelo emerge così chiaramente l’inestricabile intreccio tra comunione e missione: se manca l’unità, la missione è zoppa. Come possiamo annunciare agli uomini che Dio vuole unire popoli e nazioni, culture e civiltà se la comunità ecclesiale è percorsa da discordie e conflitti che non raramente innalzano muri e generano rotture. Come può la Chiesa diventare un ponte tra le nazioni se al suo interno sperimenta un’inguaribile divisione?
La missione dipende dalla comunione. Anzi, possiamo dire che la comunione è la prima parola missionaria perché l’unità visibile rappresenta un vero e proprio annuncio, una parola che stupisce e affascina. “In un mondo lacerato da discordie la tua Chiesa risplenda segno profetico di unità e di pace” (Preghiera eucaristicaV/d). Le resistenze e le opposizioni che oggi sperimentiamo a tutti i livelli non devono scoraggiarci né impedire di coltivare l’ideale evangelico. Se Dio mette nel cuore una missione così grande, vuol dire che è possibile realizzarla. Non dimentichiamo che le parole di Gesù si presentano nella forma di una preghiera che egli rivolge al Padre, una preghiera che accompagnerà tutti i secoli. Gesù prega e intercede per noi, egli sa bene che non siamo in grado di assolvere questa missione, troppo grande per le nostre forze. La sua preghiera è per noi garanzia e consolazione.
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