
Solus cum Solo
di don Silvio Longobardi
Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 21, 15-19)
In quel tempo, [quando si fu manifestato ai discepoli ed] essi ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pasci i miei agnelli». Gli disse di nuovo, per la seconda volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pascola le mie pecore». Gli disse per la terza volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene?». Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli domandasse “Mi vuoi bene?”, e gli disse: «Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene». Gli rispose Gesù: «Pasci le mie pecore. In verità, in verità io ti dico: quando eri più giovane ti vestivi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi». Questo disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E, detto questo, aggiunse: «Seguimi».
Il commento
“Quando ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro”(21,15). Tutta la comunità è riunita sulla riva del lago, Gesù stesso ha preparato il cibo e invita tutti a condividere la mensa. Possiamo immaginare l’euforia dei discepoli: la pesca abbondante, la presenza del Risorto. Ad un certo punto Gesù chiama in disparte Pietro, vuole parlare solo con lui. Come sempre, l’iniziativa è del Maestro. È Lui che sceglie i tempi e le modalità. È Lui che sceglie nuovamente Pietro pur sapendo che non aveva corrisposto al ministero ricevuto. Il Vangelo riporta una sintesi teologica di questo colloquio. Le parole sono tutte importanti, anzi decisive per definire il ruolo e la missione che Gesù affida al primo degli apostoli. E tuttavia, oggi vi invito a soffermarvi su quello che potrebbe apparire un dettaglio marginale e che, invece, rappresenta la premessa necessaria per ricevere quelle parole come confidenze sussurrate con amore. Nell’esperienza di fede occorre sottolineare la dimensione comunitaria ma, con la stessa convinzione, dobbiamo insegnare a cercare e coltivare il dialogo personale. La celebrazione liturgica, espressione di una comunità che prega, deve costantemente intrecciarsi con il silenzio orante in cui ciascuno si ritrova da solo dinanzi a Dio.
C’è una solitudine che non dobbiamo temere, anzi dobbiamo cercare e custodire come un bene prezioso. La tradizione spirituale ha espresso tutto questo con una formula suggestiva: solus cum Deo solo. Gli eremiti insegnano a cercare Dio come l’unico Bene necessario, il tesoro nascosto nel campo. Solo in questa condizione – che apparentemente ci isola dal mondo – il Signore può consegnare parole misteriose che disegnano la nostra identità e aprono nuovi orizzonte missionari. La vita consacrata, e in particolare quella monastica, hanno il compito di testimoniare la bellezza e la fecondità della solitudine orante. Nella notte della passione Pietro era scappato come un ladro sorpreso con la refurtiva. Nel mattino di Pasqua Gesù gli restituisce la sua carta di identità. Tutto riparte da Lui. Oggi chiediamo la grazia di vivere la preghiera come esperienza di resurrezione.
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