
Unità e diversità
di don Silvio Longobardi
Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 16,13-19)
In quel tempo, Gesù, giunto nella regione di Cesarèa di Filippo, domandò ai suoi discepoli: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?». Risposero: «Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elìa, altri Geremìa o qualcuno dei profeti». Disse loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». E Gesù gli disse: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli».
Il commento
“Su questa pietra io edificherò la mia chiesa e le potenze degli inferi non potranno prevalere” (16, 18). La Chiesa oggi celebra due testimoni privilegiati del Vangelo che hanno contribuito in modo importante e decisivo a edificare la Chiesa in quella stagione così dedicata e importante in cui state poste le basi della grande avventura. Oggi li contempliamo insieme: Pietro e Paolo. La congiunzione va intesa nel suo duplice e complementare significato: da una parte distingue e ricorda che si tratta di due persone, ciascuno con la sua vocazione e la sua specifica missione; e dall’altra unisce perché sottolinea la comune appartenenza e il comune impegno per il Vangelo. Hanno vissuto in profonda comunione anche se ciascuno è rimasto fedele alla sua vocazione, rispettando e stimando quella dell’altro. Nel Prefazio della liturgia si sottolinea l’unità e la diversità: “Tu hai voluto unire in gioiosa fraternità i due santi apostoli, Pietro che per primo confessò la fede nel Cristo, Paolo che illuminò le profondità del mistero; il pescatore di Galilea che costituì la prima comunità con i giusti d’Israele, il maestro e dottore che annunziò la salvezza a tutte le genti. Così, con diversi doni, hanno edificato l’unica Chiesa”. La diversità è importante quanto l’unità: se la diversità non viene posta a servizio dell’unità diventa pietra d’inciampo, genera conflitti che rallentano o, nei casi più gravi, impediscono la diffusione del Vangelo. D’altra parte, se in nome dell’unità neghiamo la diversità, rifiutiamo i carismi che lo Spirito dona alla Chiesa. In pratica ci chiudiamo alla grazia. “La Chiesa è cattolica, perché è la Casa dell’armonia dove unità e diversità sanno coniugarsi insieme per essere ricchezza”, ha detto Papa Francesco. Ed ha continuato: “Pensiamo all’immagine della sinfonia, che vuol dire accordo, armonia, diversi strumenti suonano insieme; ognuno mantiene il suo timbro inconfondibile e le sue caratteristiche di suono si accordano su qualcosa di comune” (Udienza generale, 9 ottobre 2013). Per questa Chiesa oggi preghiamo, chiedendo la grazia di saper fare la nostra parte.
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