XIII Domenica del Tempo Ordinario – Anno C – 30 giugno 2019

Il cristiano è veramente un uomo libero?

di fra Vincenzo Ippolito

Se Cristo ci ha liberati per la libertà, questo vuol dire che non siamo soli nel combattere contro il male, che Egli è al nostro fianco, la sua grazia ci corrobora, la sua forza ci sostiene, la sua potenza ci rende incrollabili, nella speranza di vivere da figli liberi, non da schiavi. L’impegno della vita cristiana è di vivere nella libertà, nell’amicizia con Cristo salvatore e liberatore

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Galati (5,1.13-18)
Siete stati chiamati alla libertà
Fratelli, Cristo ci ha liberati per la libertà. State dunque saldi e non lasciatevi di nuovo imporre di nuovo il giogo della schiavitù.
Voi infatti, fratelli, siete stati chiamati a libertà. Che questa libertà non divenga un pretesto per la carne; mediante l’amore siate invece a servizio gli uni degli altri. Tutta la legge infatti, trova la sua pienezza in un solo precetto: «Amerai il tuo prossimo come te stesso». Ma se vi mordete a vicenda, badate almeno di non distruggervi del tutto gli uni gli altri.
Vi dico dunque: camminate secondo lo Spirito e non sarete portati a soddisfare il desiderio della carne. La carne infatti ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne; queste cose si oppongono a vicenda, sicché voi non fate quello che vorreste. Ma se vi lasciate guidare dallo Spirito, non siete sotto la legge.

 

Dopo le ultime domeniche dedicate alla celebrazione dei misteri della santissima Trinità e del Corpo e Sangue del Signore, riprendiamo oggi il ritmo del Tempo Ordinario, che ci condurrà alla fine dell’anno liturgico, con la solennità di Cristo Re dell’universo. La lettura continua del Vangelo secondo Luca, dopo la lunga parentesi della Quaresima e della Pasqua, ricomincia da un brano (cf. Lc 9,51-62), che segna l’inizio del cammino di Gesù verso Gerusalemme (cf. Lc 9,51-9,27). Il Maestro, scrive l’Evangelista, “mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto […] prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme e mandò messaggeri davanti a sé”. L’inizio del viaggio verso la città santa spinge il Signore a richiedere a coloro che si mettono alla sua sequela di essere disposti a vivere la sua stessa radicalità, perché c’è una sola sicurezza per chi segue il Maestro, Lui e la ricchezza del suo amore che è provvidenza per l’uomo.
A preparare la lettura della pagina evangelica odierna ci è donata, come Prima Lettura, il racconto della vocazione del profeta Eliseo (cf. 1Re 19,16.19-21), ad indicare, nella rilettura evangelica della vocazione, la superiore chiamata di Cristo. Il Regno di Dio, infatti, nella prospettiva del Maestro di Nazaret, è più importante e prioritaria rispetto ad ogni relazione umana e ad ogni bene materiale, perché comporta vivere come Lui, nella forza dello Spirito, il primato di Dio, che ci invia nel mondo ad essere messaggeri del suo Vangelo. Nella Seconda Lettura (cf. Gal 5,1.13-18), invece, l’apostolo Paolo chiarisce come la chiamata alla vita cristiana porti il credente a lasciarsi guidare dallo Spirito del Risorto, per vivere nella libertà la grazia della figliolanza.
La chiave per la comprensione della liturgia odierna è proprio la vocazione-chiamata, di Cristo che si incammina verso Gerusalemme (Vangelo), per portare a compimento, in obbedienza al Padre, il disegno di salvezza degli uomini; dei discepoli, che, a differenza di quanto accadde al profeta Eliseo (Prima Lettura), devono vivere rapporti liberi e liberanti, mai scanditi da pretese e rivendicazioni e appropriazione, perché il dono della Pasqua di Gesù è proprio la libertà dal peccato e da ogni tipo di condizionamento (Seconda Lettura). L’amore di Cristo ci rende liberi e vivere nella sua sequela significa mettere a frutto il dono del suo amore, non lasciando che nulla e nessuno ci separi da Lui.

La libertà, frutto della redenzione di Cristo

Tra le Lettere che formano il corpus degli Scritti dell’Apostolo delle Genti, l’Epistola ai Galati è da tutti considerata di sicura paternità paolina. Redatta in sei capitoli, lo stile è marcatamente polemico, visto che Paolo deve difendere il suo Vangelo e dimostrare come Cristo sia il cuore dell’annuncio, che sbaraglia la legge dei padri, visto che Egli è la pienezza dell’Antico Testamento. Volendo comprendere le relazioni tra l’Apostolo e quelle comunità – è una delle epistole indirizzate non ad una sola comunità, ma ai cristiani di un’intera regione dell’Impero Romano – possiamo attingere notizie dal Libro degli Atti degli apostoli. In esso l’evangelista Luca ci dice che il Vangelo giunse in questa regione dell’Asia Minore, per opera di Paolo e Barnaba, durante il primo viaggio missionario, quando vennero fondate comunità, nella parte meridionale, come Antiochia di Pisidia, Iconio, Lisrtra, Derbe e Pergamo (cf. At 13,13-14,26). In seguito, in compagnia di Sila, Paolo visita nuovamente quelle comunità ed evangelizza anche la parte settentrionale (cf. At 16,6), ritornandovi all’inizio del terzo viaggio missionario (cf. At 18,23).
Il brano liturgico è tratto dalla parte finale della Lettera, in cui l’Apostolo, dopo aver chiarito, nella sezione dottrinale, alcune problematiche emergenti in quelle comunità, esorta i Galati a comminare nella rettitudine della vita, mettendo a frutto la grazia della relazione con Cristo, iniziata con il battesimo. La prima espressione del capitolo quinto – “Cristo ci ha liberati per la libertà” (5,1) – si lega, nella lettura liturgica, a cinque versetti non direttamente successivi (13-18), nei quali l’Apostolo presenta le implicanze pratiche della professione di fede, chiarendo cosa comporti vivere nella libertà dei figli di Dio.

La nota dominante della pericope odierna è il concetto di libertà, da cui dipende la vita pratica del credente e le relazioni che egli istaura con se stesso e nella comunità. La frase iniziale del brano è solenne e suona come un assioma, visto che si tratta di una verità fondamentale della professione di fede della Chiesa. Scrive l’Apostolo “Cristo ci ha liberati per la libertà” (5,1). La redenzione operata da Gesù, con il sacrificio della sua Pasqua, è riletto dall’Apostolo in termini di libertà, ovvero di separazione dal peccato e dalle sue conseguenze, e di vita nella comunione con Dio, in Cristo, e con i fratelli. L’uomo, sembra dire tra le righe l’Apostolo, non è capace di affrancarsi dalla colpa, visto che, come afferma Davide, “il mio peccato mi sta sempre dinanzi” (Sal 50,5). A causa della disubbidienza del primo uomo, “il peccato è entrato nel mondo e, con il peccato, la morte” (Rm 5,12) e “ne fanno esperienza coloro che le appartengono” (Sap 2,24). È questa la nostra condizione, nella quale ci sentiamo divisi, al pari di Paolo, tra il bene che desideriamo e il male che attuiamo, pur non volendolo, poiché che in noi “c’è il desiderio del bene, non la capacità di attuarlo” (Rm 7,18). L’uomo, abbandonato alle sue sole forze, non riesce, quindi a rompere il giogo del peccato, ad allontanare il ricordo della colpa, a non sentire in sé la sproporzione tra i desideri del cuore e la realtà di una vita, che è sotto l’ombra della morte. Per questo il salmista afferma “Certo l’uomo non può riscattare se stesso” (Sal 49,8) e Paolo, oppresso dalla condizione esistenziale, che la sua esperienza lo porta ad avere sempre dinanzi agli occhi, si chiede “Me infelice! Chi mi libererà da questo corpo di morte?” (Rm 7,24). È questa la domanda che anche noi ci facciamo, oppressi sotto i morsi del peccato, angosciati, spesso, dal vedere che non ci sono vie di uscite, in una vita scandita dal fallimento e dall’incapacità di vivere nella gioia, in maniera permanente. La felicità la sperimentiamo tante volte, nei nostri rapporti la viviamo, come trasporto bello dell’animo che cerca la pace e anela alla serenità, nell’incontro e nel dialogo sincero con gli altri, nell’affetto che palpita nel cuore delle persone che si amano e nella realizzazione bella dei desideri che ci portiamo dentro, scintille di eternità, tradotte in opere. Siamo però sempre angosciati al pensiero che prima o poi quelle gioie ci vengano tolte, che il sogno si infranga, che le speranze vengano presto deluse. Viviamo le nostre giornate difendendo i nostri spazi vitali, divorati dall’insicurezza di avere una stabile dimora per il cuore nostro, sempre in pena.

Dio interviene nella nostra situazione, come per il popolo, oppresso dalla schiavitù dell’Egitto, si muove a compassione della nostra condizione e, inviando il Salvatore promesso, ci dona la libertà sperata, la redenzione attesa, la salvezza che è sempre un puro dono di grazia, mai una ricompensa per una vita giusta e santa. Difatti, “quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, per riscattare coloro che erano sotto la legge, perché ricevessimo l’adozione a figli” (Gal 4,4-5) e, scrive l’evangelista Giovanni, narrando il colloquio notturno di Gesù con Nicodemo “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui” (Gv 3,16-17). Il Verbo, prendendo la nostra carne, nel seno di Maria, è il Salvatore del mondo, il Rivelatore del volto di Dio, il Liberatore dalla schiavitù del peccato. Per questo Paolo, dopo aver guardando all’oppressione della colpa e alla sua incapacità, nel riscattarsi dal peccato e dalle sue conseguenze, può esultare, pensando a Cristo, alla liberazione da Lui attuata, nel sacrificio della croce, al suo aver spezzato le catene antiche, che ci tenevano oppressi. La vita del cristiano è il canto a Cristo liberatore, alla sua grazia che sconfigge il peccato, all’acqua e al sangue prezioso che, dalle sue piaghe, come da una fonte, raggiunge ogni uomo, lavandole dalla colpa e donandogli l’innocenza di Cristo, l’unico che è senza colpa e che può comparire al cospetto del Padre in nostro favore. Dobbiamo vivere nella speranza, perché il peccato e la morte non hanno più nessun potere su di noi, abbiamo l’armatura di Cristo, il suo elmo e la sua spada, nulla ci potrà abbattere, perché la casa della nostra vita è fondata sulla roccia del suo amore per noi. La libertà che Cristo ci ha acquistato a prezzo del suo sangue non è fittizia o passeggera, non può essere scalzata dal demonio e dalle sue trame, neppure i nostri peccati possono compromettere il dono di grazia che viene da Dio. Dire che “Cristo ci ha liberati per la libertà” vuol dire da parte dell’Apostolo indicare lo stato permanete della salvezza, la grazia della redenzione che resta per sempre, il perdono dei nostri peccati che è vero, capace di incidere in profondità nella nostra vita. In Cristo, infatti, noi abbiamo la realizzazione delle promesse dell’Antico Testamento, come anche dell’anelito del cuore umano, assetato di gioia e di pienezza di vita. Siamo chiamati ad accogliere la liberazione che Cristo ci ha donato, vivendo nella libertà che è possibile solo restando in Lui, come i tralci alle vite. Non dobbiamo quindi aver paura del peccato – il demonio gioca proprio sul terreno della paura, senza permetterci di vivere nella serenità dell’amore di Cristo – ma concentrare tutte le nostre energie nel lasciare a Cristo di operare in noi la grazia della sua liberazione, la bellezza della figliolanza divina, la forza del suo Spirito, che in noi grida “Abbà! Padre”. Se Cristo ci ha liberati per la libertà, questo vuol dire che non siamo soli nel combattere contro il male, che Egli è al nostro fianco, la sua grazia ci corrobora, la sua forza ci sostiene, la sua potenza ci rende incrollabili, nella speranza di vivere da figli liberi, non da schiavi. L’impegno della vita cristiana è di vivere nella libertà, nell’amicizia con Cristo salvatore e liberatore. Per questo l’Apostolo può dire “State dunque saldi e non lasciatevi di nuovo imporre il giogo della schiavitù” (v. 5b). Custodire la grazia della libertà concessa da Dio è l’impegno che scandisce la nostra vita, nella consapevolezza che il dono a noi concesso non va passivamente serbato, ma dinamicamente custodito, al pari dei talenti che il Padrone affida ai suoi servi, prima di partire. La grazia di Dio in noi è potenza che agisce, se noi le lasciamo la possibilità di dilagare e di fare meraviglie. Questo vale anche in riferimento alla tentazione al peccato. Se lascio a Dio la possibilità di corazzarmi, con la sua grazia, di preservarmi dal male, di mettermi in guardia dagli assalti improvvisi del maligno, di scorgerne le macchinazioni, di anticiparne le mosse, di battere il nemico sul tempo, non sarò io a combattere contro il demonio, ma la grazia di Dio che è in me. Per questo Paolo può dire “Per la grazia di Dio, però, sono quello che sono e la sua grazia in me non è stata vana. Anzi, ho faticato più di tutti loro, non io però, ma la grazia di Dio che è in me” (1Cor 15,10).

Liberati da Cristo, per vivere nella libertà del suo amore è il senso della vita di cristiani. Se l’amore è la pienezza della legge, è sempre e solo l’amore di Cristo nei nostri riguardi che opera meraviglie per la nostra gioia. È l’amore di Cristo, infatti, che ci ha liberati, perché l’amore libera e salva, non l’egoismo, che dell’amore ha solo la parvenza e si veste di altruismo, per ingannare e legare, per schiavizzare la persona che si dice di amare, senza permettere di vivere nell’amore di Dio, perseguendo ciò che il Signore chiede come promessa di bene. Quanti amore tra noi non originano rapporti liberi e liberanti! Quante volte, nelle nostre famiglie ed in comunità, viviamo da schiavi, perché incapaci di dire quello che pensiamo e vogliamo veramente, fissando bene i limiti dei rapporti, importanti perché la libertà non divenga libertinaggio! Se in famiglia non ci sentiamo liberi di essere noi stessi, se nei nostri rapporti chiediamo o ci viene domandato di abbassare sempre la testa, anche quando non è giusto, accogliendo non il dolce gioco del Signore, ma quello dell’altrui pretesa, ci stiamo condannando all’infelicità e mercanteggiamo la libertà che Cristo ci ha donato, scambiando le monete d’oro della figliolanza e della liberazione da ogni schiavitù, con quelle di latta di pseudo amori. Solo l’amore di Cristo può veramente liberarci e sostenere il nostro cammino, nel mettere a frutto, nei nostri rapporti, la sua grazia che è seme di speranza e di pace per ogni discepolo suo.

Viveri da figli liberi

Il sacrificio di Cristo sulla croce è stato consumato una volta per sempre ed è sul Golgota che è stato annullato “il documento scritto contro di noi, le cui prescrizioni ci erano contrarie” (Cl 2,14), è stata spazzata la ribellione dalla colpa antica ed il peccato non ha più nessun potere su di noi. La Pasqua di Cristo ha strappato il giogo del demonio che ci opprimeva e, nelle tentazioni e tribolazioni che viviamo continuamente, il Risorto ci ha assicurato che non siamo soli nel combattere contro il male, perché Lui è con noi, il suo bastone ed il suo vincastro ci danno sicurezza (cf. Sal 23,4). Per questo l’Apostolo può dire “siamo tribolati, ma non schiacciati; siamo sconvolti, ma non disperati; perseguitati, ma non abbandonati; colpiti, ma non uccisi; portando sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù, perché anche e la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo. Sempre infatti, noi che siamo vivi, veniamo consegnati alla morte, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo mortale” (2Cor 4,8-11). La vita cristiana è una continua chiamata, che il Signore rivolge a ciascuno di noi, per vivere alla sua presenza e mettere a frutto la sua grazia. Dio gratuitamente ci libera dalla schiavitù del peccato, ma vuole la nostra collaborazione, perché non si cada continuamene nei lacci del demonio e si viva della vita dello Spirito, che ha effuso nei nostri cuori. Per questo Paolo ci tiene a chiarire che libertà cristiana, non vuol dire libertinaggio, ma servizio di Dio, a somiglianza di Cristo, nel desiderio di realizzare il progetto del Padre che, rifiutato da Adamo ed Eva, è stato ripreso e realizzato da Cristo, Signore nostro. In tal modo, la vita di ogni discepolo è parte di un progetto più grande ed il suo “” a Dio continua nella storia la realizzazione del disegno del Padre. È necessario quindi mettere in guardia i Galati ed ecco l’accorata esortazione dell’Apostolo: “Che questa libertà non divenga un pretesto per la carne” (v. 13). Si tratta della medesima ammonizione indirizzata ai Romani, se anche a loro scrive che la bontà di Dio ci spinge non a fare ciò che si vuole, ma “alla conversione” (Rm 2,4).

È importante, in ogni comunicazione, chiarire i termini che vengono usati, perché, in caso contrario, si assiste ad un dialogo tra sordi. Proprio per questo motivo l’Apostolo è portato a fermarsi alquanto sui termini del suo argomentare. Nella nostra società, per libertà si intende il diritto di cui godono tutti gli uomini, nel perseguire il bene che si considera tale e nel realizzare le aspirazioni che la mente riflette e il cuore vuole. In tal modo, ognuno può perseguire, al livello di principio, una libertà personale assoluta, perché sganciata dall’ambito del bene e dell’opportuno, del vero e del giusto, in una parola del creaturale e quindi del limitato e finito, la libertà è pura illusione. Le parole di Paolo non sono fuori luogo, in un mondo nel quale primeggia l’emancipazione dell’uomo da Dio e si assiste alla distruzione della creatura, che precipita nell’abisso del non senso, proprio nel titanico desiderio di affermare solo se stessa. Una libertà senza verità conduce l’uomo fuori strada, come una libertà che è ricerca egoistica del proprio tornaconto è incapacità di aprirsi al dono, che è insito nella nostra costituzione di creature, chiamate a vivere in comunità, relazionandosi ad altri simili. In caso contrario, la libertà diviene un preteso – “Che questa libertà non divenga un pretesto per la carne” (v. 13) – non una possibilità concessa per costruire la propria vita, sulla giustizia e sul bene. E se libertà senza verità è pura illusione, libertà senza amore è disumanizzazione. Cristo ci ha liberati da peccato (pars destruens) e ci ha liberati per la libertà (pars costruens), permettendo allo Spirito Santo, principio della nostra liberazione, di vivere come Gesù, nella lode del Padre e nel servizio dei fratelli, poiché “mediante l’amore siate invece a servizio gli uni degli altri” (v. 13). Con l’amore, infatti, Cristo ci ha liberati dal peccato e dalle sue conseguenze, come per l’amore riversato in noi ci è concesso di metterci al servizio dei fratelli. Quindi, se il peccato è la chiusura agli altri, nella ricerca del personale ed egoistico tornaconto, la libertà dal peccato ci permette di far vincere in noi l’amore di Cristo, riservato nei nostri cuori dallo Spirito Santo. Facendo in noi regnare la legge dell’amore, il credente vive, amando, per l’amore di Cristo che lo abita e ama, vivendo, ovvero rendendo concreata la forza che lo spinge interiormente, nel servizio del fratello. La Pasqua di Cristo porta l’uomo a far morire la schiavitù del peccato, per vivere nel servizio d’amore dell’altro. Non si tratta di una semplice sostituzione, dal momento che l’uomo continua ad essere schiavo, perché se nel primo caso l’uomo è alienato e nelle mani del diavolo, nel servizio di Cristo, condotto dall’amore, egli realizza il disegno del Padre e trova la gioia, perché mette a frutto le sue capacità, nella costruzione della fraternità universale, secondo i doni che lo Spirito fa abitare in lui.

La vita, un cammino sotto la guida dello Spirito

L’esortazione che l’Apostolo rivolge ai Galati, dopo aver descritto le esigenze della vita cristiana, è chiara ed inequivocabile: “Vi dico dunque: camminate secondo lo Spirito e non sarete portati a soddisfare il desiderio della carne” (v. 16). Lo Spirito di Cristo risorto concesso in dono ai credenti è il principio della vita nuova nell’amore e li conduce a vivere gli stessi sentimenti del Signore, a combattere il male, che cerca in ogni modo di destabilizzare il regno di Dio, e di beneficare i fratelli, così che sperimentino la potenza dell’amore. Cos’altro significa l’espressione “camminate secondo lo Spirito”, se non lasciati portare dall’amore che Dio riversa nel tuo cuore, Non permettere al male di dilagare in te e di soffocare le grandi acque dello Spirito? Cosa vuol dire Paolo, ricordando ai credenti di non soddisfare i desideri della carne, se non Guardatevi dal seguire la strada della morte, che conduce alla perdizione, assecondando quel falso amore, che è l’egoismo? Tutti sperimentiamo, nella nostra quotidiana vita di discepoli, pur nelle differenti vocazioni che il Signore ci ha donato, come “La carne infatti ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne” (v. 17). La famiglia cristiana è il luogo dove impariamo a dominare l’istinto e a far crescere la grazia della docilità allo Spirito Santo. Gli sposi cristiani, infatti, sono chiamati a camminare nell’amore di Cristo e ad essere educatori dei propri figli, insegnando la difficile arte di discernere i desideri di Dio, che dentro di noi sono continuamente avversati dalle suggestioni del demonio. Spesso, infatti, non facciamo il bene che il Signore ci chiede, perché sedotti dal nemico, che, come un giorno con Adamo ed Eva, così anche con noi, si presenta come amico e consigliere, per farci stendere la mano e mangiare dell’albero della conoscenza del bene e del male. Educare il cuore a non assecondare l’egoismo e a non vivere di pretese è una sfida continua per gli sposi cristiani, come per ogni discepolo del Signore, una battaglia all’ultimo colpo indicare agli altri la necessità di seguire Gesù, se si vuole essere veramente felici. Il segreto della gioia cristiana, anche se esigente, è lasciare che lo Spirito ci conduca gradualmente alla morte a noi stessi, per far posto alla grazia di Cristo, che in noi opera, secondo la volontà del Padre. Senza questo lento apprendistato, che si impara in famiglia ed in comunità, non saremo capaci di rendere testimonianza al Vangelo e di vivere come figli di Dio e fratelli fra noi. Per questo lo Spirito vuole trovare in noi incondizionata docilità, per rendere la nostra vita bella nel dono, come quella di Gesù. Solo così la liberazione che il Signore ci ha donato, porterà in noi frutti abbondanti per la nostra vita e la gioia dei fratelli.




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