
Tutto passa in secondo piano
di don Silvio Longobardi
Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 10,34-11.1)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi apostoli: «Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; sono venuto a portare non pace, ma spada. Sono infatti venuto a separare l’uomo da suo padre e la figlia da sua madre e la nuora da sua suocera; e nemici dell’uomo saranno quelli della sua casa. Chi ama padre o madre più di me, non è degno di me; chi ama figlio o figlia più di me, non è degno di me; chi non prende la propria croce e non mi segue, non è degno di me. Chi avrà tenuto per sé la propria vita, la perderà, e chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la troverà. Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato. Chi accoglie un profeta perché è un profeta, avrà la ricompensa del profeta, e chi accoglie un giusto perché è un giusto, avrà la ricompensa del giusto. Chi avrà dato da bere anche un solo bicchiere d’acqua fresca a uno di questi piccoli perché è un discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa». Quando Gesù ebbe terminato di dare queste istruzioni ai suoi dodici discepoli, partì di là per insegnare e predicare nelle loro città.
Il commento
“Chi ama padre o madre più di me, non è degno di me” (10,37). Troviamo queste parole a conclusione di un capitolo che descrive la missione come un’esperienza esigente. In questo contesto comprendiamo le parole che oggi vengono proclamate nella liturgia: “chi ama figlio o figlia più di me, non è degno di me” (10,37). Mi piace pensare che, mentre consegna questo insegnamento, Gesù scandisce le parole, una ad una. Missione e martirio si richiamano, sono come due facce della stessa medaglia. Per questo aggiunge: “Chi avrà tenuto per sé la propria vita, la perderà, e chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la troverà” (10,39). La testimonianza che i discepoli sono chiamati a dare può giungere fino al martirio. Non basta mettere la vita a disposizione del Vangelo, è necessario sapere che possiamo anche perdere la vita in nome del Vangelo. Il Maestro non teme di fare una proposta assai impegnativa, non fa nulla per attenuare la radicalità della proposta. Anzi, dice che nessun legame affettivo può rivendicare un oggettivo primato. Dinanzi a Lui tutto passa in secondo piano. Tutto.
Queste parole sono per tutti una provocazione ma parlano in modo particolare alla vita consacrata. Chi accetta questa sfida è chiamato a diventare una convincente icona di quello che Gesù chiede a tutti i discepoli. La vita del consacrato annuncia – con quella forza che nasce non dalle parole ma dalla testimonianza della vita – che amare Cristo non è un peso ma una gioia, non è una catena ma la premessa della vera libertà, non soffoca le nostre capacità ma le amplifica, non ci chiude in un orizzonte limitato ma c’immerge in una storia che sfida i secoli. Scrive Giovanni Paolo II: “La vita consacrata fa continuamente emergere nella coscienza del Popolo di Dio l’esigenza di rispondere con la santità della vita all’amore di Dio riversato nei cuori dallo Spirito Santo” (Vita consecrata, 33). Tanti religiosi hanno vissuto con rigorosa fedeltà gli insegnamenti del Vangelo, alla loro intercessione affidiamo tutti coloro che camminano nella via della verginità.
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