
Non esiste il terreno buono
di don Silvio Longobardi
Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 13, 1-9)
Quel giorno Gesù uscì di casa e sedette in riva al mare. Si radunò attorno a lui tanta folla che egli salì su una barca e si mise a sedere, mentre tutta la folla stava sulla spiaggia. Egli parlò loro di molte cose con parabole. E disse: «Ecco, il seminatore uscì a seminare. Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada; vennero gli uccelli e la mangiarono. Un’altra parte cadde sul terreno sassoso, dove non c’era molta terra; germogliò subito, perché il terreno non era profondo, ma quando spuntò il sole, fu bruciata e, non avendo radici, seccò. Un’altra parte cadde sui rovi, e i rovi crebbero e la soffocarono. Un’altra parte cadde sul terreno buono e diede frutto: il cento, il sessanta, il trenta per uno. Chi ha orecchi, ascolti».
Il commento
“Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada; vennero gli uccelli e la mangiarono” (13,4). Questa parabola, e le altre che Matteo ha sapientemente raccolto in un’unica sezione (13, 1-53), rispondono a una domanda: come e quando Dio manifesterà il regno? Le parabole non descrivono un progetto di conquista né disegnano un orizzonte luminoso; al contrario, lasciano intravedere la fatica della semina e la presenza oscura del maligno, ricordano che il seme germoglia tra mille difficoltà. La parabola del seminatore descrive il compito della Chiesa che, sulle orme del Maestro, semina pazientemente la Parola di Gesù. È una Chiesa che non si stanca e non calcola, una Chiesa che diventa essa stessa seme gettato nel terreno. Il Nazareno invita i discepoli a seminare sempre e ovunque la buona notizia con l’intima certezza che può portare frutto. Questo dettaglio svela l’immagine di un Dio che vuole la salvezza di tutti ma, al tempo stesso, ricorda che la grazia non sempre incontra la piena disponibilità dell’uomo. Quando invece la Parola viene accolta e custodita con amore, allora la vita dell’uomo diventa terreno buono. Non esiste il terreno buono, esiste la Parola buona che rende buono il terreno. È Dio che ci rende buoni, Lui solo può dare fecondità alla nostra vita. Se accogliamo il Vangelo con sincerità di cuore, permettiamo a Dio di compiere miracoli. Non è una pia illusione ma una verità che, lungo i secoli, ha trovato conferma nell’esperienza dei santi.
Impegniamoci ad accogliere la Parola di Dio con umiltà e con quella consapevolezza che faceva dire a Teresa di trovare nel Vangelo “tutto ciò che è necessario alla mia povera piccola anima, vi scopro sempre nuove luci, significati nascosti e misteriosi” (Ms A 83v). Contemplando la testimonianza dei santi, oggi chiediamo la grazia di diventare noi stessi quel seme gettato nel terreno che germoglia e porta frutto con abbondanza (13,8). Quanto più ci nascondiamo in Dio, tanto più permettiamo allo Spirito di fare della nostra vita una buona notizia, una parola che fa risplendere la luce del Vangelo.
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