XX Domenica del Tempo Ordinario – Anno C – 18 agosto 2019

Non perdiamoci d’animo, corriamo con perseveranza

volontariato, aiuto,

Correre con perseveranza, diventa possibile perché non siamo soli nel cammino, siamo, infatti, “circondati da un gran numero di testimoni”. La comunione è la nostra forza ed il nostro incoraggiamento, l’aiuto per combattere il male e per far vincere il bene.

Dalla lettera agli Ebrei (12,1-4)
Corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti.
Fratelli, circondàti da un gran numero di testimoni, deposto tutto ciò che è di peso e il peccato che ci intralcia, corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, autore e perfezionatore della fede. Egli in cambio della gioia che gli era posta innanzi, si sottopose alla croce, disprezzando l’ignominia, e si è assiso alla destra del trono di Dio. Pensate attentamente a colui che ha sopportato contro di sé una così grande ostilità dei peccatori, perché non vi stanchiate perdendovi d’animo.
Non avete ancora resistito fino al sangue nella vostra lotta contro il peccato.

 

Sempre il Signore si prende cura di noi e non ci lascia vagare da soli, nel cammino della vita. Il suo amore lo spinge a farsi, ogni domenica, Parola e Pane, perché, nutrendoci di Lui, veniamo trasformati dalla sua presenza, che dona pace. La celebrazione domenicale, infatti, è un tempo di sosta e di refrigerio spirituale, simile a quello vissuto da Gesù a Betania, nella casa di Marta e Maria. Attingendo da Cristo l’acqua viva del suo Spirito, ogni discepolo trova la forza di vivere con coraggio il Vangelo, dando ragione della speranza che abita il suo cuore.
La liturgia odierna continua ad attingere dal capitolo dodicesimo del Vangelo secondo Luca (cf. Lc 12,49-53). La scena proposta è dominata dalla figura di Cristo, che vive l’ansia del donare vita e salvezza a noi uomini. Le immagini del fuoco e del battesimo, unita alle contraddizioni che la scelta di Cristo comporta, aiutano a comprendere quanto Dio ci ami e desideri il nostro bene. Cristo, con coraggio e senza paura, afferma la volontà del Padre e si mostra pronto ad affrontare ogni avversità, pur di camminare alla presenza di Dio, con cuore retto e sincero. Di questa sua determinazione e forza, è simbolo e figura il profeta Geremia. La Prima Lettura ci offre proprio un brano del suo libro (cf. Ger 38,4-6. 8-10), in cui è descritta la pena ingiustamente inflitta al profeta, per aver trasmesso la parola di Dio. Il giusto sa di non dover temere nulla e di non lasciare che nessun pericolo lo abbatta. È circondato – è la Seconda Lettura, tratta dalla Lettera agli Ebrei (cf. 12,1-4) a ricordarcelo – da fratelli che condividono la medesima fede e che sono in cammino nella realizzazione dello stesso ideale.
Dio Padre vuole che, guardando a Gesù (Seconda Lettura), accogliamo le difficoltà della nostra vocazione e missione, al pari del profeta Geremia (Prima Lettura), per vivere l’ansia dell’annuncio del Vangelo, insieme con Gesù (Vangelo), pronti a non lasciarci abbattere da nulla, per amor suo.

La comunione e l’unità ci rende Chiesa di Cristo

Continuando la lettura dell’Epistola agli Ebrei, dopo aver meditato sulla fede, fondamento e prova nella nostra fede, attraverso gli esempi tratti dall’Antico Testamento – Eb 11, 1-2.8-19 era il brano proposto dalla liturgia della scorsa domenica – meditiamo oggi su un brano formato da appena quattro versetti (cf. Eb 12,1-4), ma ricchi ed incisivi per coloro che lasciano alla potenza della Scrittura di penetrare nel cuore come spada a doppio taglio. L’autore ispirato vuole che l’attenzione dei lettori sia ben fissa su Gesù Cristo, visto che il suo esempio determina la vita del credente, le sue scelte modellano le decisioni, la sua volontà, sempre protesa a fare ciò che piace al Padre, guida l’impegno del discepolo, nel testimoniare il primato della carità, nel rapporto con i fratelli. I vari anelli argomentativi servono quasi a portare per mano il credente ad accogliere nella sua vita lo scandalo della croce e imparare da Gesù, mite ed umile di cuore, il segreto per non lasciarsi vincere dalla stanchezza di operare il bene e di soccombere agli assalti del male. Perquesto è importante che ciascuno di noi diventiconsapevoledella grazia della chiamata. Bisogna chiedere che il Signore “illumini gli occhi del vostro cuore per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità tra i santi” (Ef 1,18). Solo se Dio ci dona il suo Spirito, attraverso la lettura e la meditazione della sua Parola, potremo seguire Gesù e lasciarci trasformare dalla sua grazia. Tutti, infatti, ci sentiamo spossati nel cammino e siamo preda dello scoraggiamento, soprattutto quando non vediamo che il nostro impegno viene coronato, anche da un punto di vista spirituale, dal successo. L’esortazione della Lettera agli Ebrei diviene significativa per credere nella Parola ispirata, accogliere la voce di Dio e lasciarsi guidare da Gesù Cristo, che è il modello dell’umanità, rinnovata dall’amore. Più leggiamo la Scrittura e maggiore è la capacità nostra di interiorizzarne la forza, viverne l’assolutezza, essere determinati dalla grazia del Risorto, che ci comunica la sua stessa vita.

Leggiamo nei primi versetti del brano liturgico, tratto dall’Epistola agli Ebrei: “circondàti da un gran numero di testimoni, deposto tutto ciò che è di peso e il peccato che ci intralcia, corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, autore e perfezionatore della fede” (1-2a). Il brano completo, così come riportato nel testo del Nuovo Testamento, in prima posizione pone il pronome personale enfatico “noi”. Scrive, infatti l’autore: “Perciò – il discorso si allaccia direttamente al capitolo precedente – anche noi, circondati da un gran numero di testimoni”. Il soggetto è costituito non solo dai destinatari dell’Epistola – in tal caso l’autore avrebbe scritto voi, non noi! – perché tutti siamo interpellati dal mistero di Cristo. Si tratta, potremmo quasi dire, di un noi ecclesiale, non certo di un plurale maiestatis, di un semplice e ridondante modo di dire. È un noi che potremmo tradurre noi che crediamo in Cristo, noi che camminiamo sulle sue orme, noi che abbiamo conosciuto Dio, attraverso Gesù. In tal modo l’autore si sente direttamente interpellato da quanto rivolge agli Ebrei e avverte, lui per primo, l’incisività della sua parola e la grazia di quanto Dio ha compiuto anche per lui, nel mistero pasquale del suo Figlio Gesù. Parlare in noi è una caratteristica della Chiesa delle origini, lo comprendiamo leggendo il libro degli Atti degli Apostoli, nel quale lo stesso autore entra direttamente nella narrazione e si sente parte integrante dell’esperienza della comunità che testimonia la presenza e l’azione del Risorto.
Utilizza la prima persona plurale chi non guarda dall’alto in basso l’altro, né si sente in diritto di alzare la voce e di elevarsi su un piedistallo, per far udire la voce ed imporre la sua volontà. Chi ama veramente, porta con il fratello che ama il peso di ogni situazione, nella gioia e nella difficoltà, condividendo l’impegno e guardando risolutamente in avanti. Il segreto della comunione e la forza dell’unità stanno nel sentire che la vita dell’altro/a mi appartiene, che le sue battaglie sono le stesse che vivo anch’io, perché il cammino della maturità e della gioia è uguale per tutti, pur se, talvolta, si può essere più avanti o indietro, a seconda dell’esperienze fatte. Ogni discepoloè chiamato alla perfezione della carità, a rendere ragione della speranza risposta in Cristo e tutti dobbiamo sentirci parte integrante della grande famiglia della Chiesa, vivendo con gioia il noi della salvezza sperimentata in Gesù Cristo e della testimonianza da offrire al mondo. Il noi che diciamo deve essere il segno della nostra gioia di essere cristiani, di avere Gesù come nostro unico Signore, la Chiesa come madre, il Vangelo come bussola, l’Eucaristia come forza, la comunione come impegno, la carità ed il servizio dei fratelli come prova della nostra fede e della testimonianza da dare al mondo. Tutto ciò che distrugge il noi, in famiglia ed in comunità, viene dal Maligno, è segno della zizzania che Satana sparge nella notte del cuore, perché la divisione e la confusione è frutto dell’azione di colui che è il Mentitore fin dal principio. Dobbiamo maggiormente coltivare e vivere il noi della salvezza, a livello di coppia e di famiglia, di comunità e di Chiesa; dobbiamo con maggior impegno custodire la nostra unità e vivere nella fedeltà a Dio e ai fratelli. Solo così risponderemo alla chiamata che Dio ci affida, per essere sale della terra e luce del mondo.

Una corsa, non priva di ostacoli

Dopo aver presentato il soggetto – noi – l’autore specifica lo status del credente con due espressioni – il testo greco sembra più chiaro della traduzione in italiano – mostrando che la forza della vita cristiana, nella lotta contro il male ed il peccato, è la comunione ecclesiale: “circondàti da un gran numero di testimoni, deposto tutto ciò che è di peso e il peccato che ci intralcia, corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti” (v. 1). Il verbo principale è “corriamo” quasi a dire che su questo si deve concretizzare l’impegno del credente, perché la vita è una gara, un impegno costante nel restare desti per combattere il nemico, la nostra esistenza un agone in cui lottare per non soccombere, i nostri giorni il tempo in cui ci è dato di custodire il cuore e far crescere il seme di bene che il Signore vi sparge. È possibile correre, nel conquistare il premio, perché siamo “circondati da un gran numero di testimoni” e abbiamo “deposto tutto ciò che è di peso e il peccato che ci intralcia”. Se ci fermiamo a riflettere sul brano proposto, comprenderemo bene i vari passaggi, proposti quasi a voler strutturare il cammino spirituale, attraverso tappe successive. Quando incontriamo Dio ed il suo amore ci basta, perché è l’unica nostra ricchezza, iniziamo a combattere il peccato, perché è l’amore di Dio in noi che lotta contro il male e cerca di far crescere la potenza del bene (primo passaggio: deporre il peccato che ci attanaglia). Nel combattimento, non dobbiamo mai dimenticarlo, è necessario non sentirsi soli, perché è questo il terreno sul quale la voce del demonio prolifica e sparge la diffidenza nei riguardi di Dio. Siamo circondati dai testimoni della fede (secondo passaggio) e questo infonde in noi la speranza di potercela fare e di non dover gettare la spugna, quando ci sentiamo scoraggianti e abbattuti, per le situazioni che maggiormente ci gettano in angoscia. Solo così potremo correre con perseveranza nella corsa, con lo sguardo fisso a Gesù Cristo (terzo passaggio), che rappresenta il compimento di ogni nostra attesa e la meta della nostra speranza.
La scintilla che accende in noi il fuoco del desiderio e motiva l’impegno, nella vita cristiana, che rende ferrea la volontà, coraggiosa la determinazione, eroico il sacrificio è l’amore di Cristo, riversato nei nostri cuori dallo Spirito Santo. Il discepolo sperimenta in se stesso la forza polarizzante dell’amore. Quando scopre in Gesù Cristo che Dio Padre lo ama di un amore infinito ed eterno, l’amore che sente e che il suo cuore misteriosamente contiene, lo Spirito-amore che dal Risorto passa in lui, lo spinge a guardare a Colui che lo ha amato per primo e fino al dono della vita si è offerto sulla croce. Nella contemplazione del Crocifisso, il discepolo esclama con l’apostolo Paolo “mi ha amato e ha consegnato se stesso per me” (Gal 2,20) e, nel ricambiare l’amore del suo Signore, sperimentala gioia sovrabbondante della realizzazione della sua umanità. Nell’amore scopre di aver realizzato l’aspirazione più grande della sua vita e si sente appagato. È l’amore la forza più grande della vita spirituale – scrive san Bernardo – perché accende nei cuori i desideri più santi e motiva l’impegno che non si ferma davanti a nulla. Chi può fermare l’amore di una madre e di un padre per la sua creatura? Nessuno! Così è anche per l’amore di Dio, nei nostri riguardi e dell’amore nostro, che la fiamma dello Spirito alimenta in noi. Se questa divina scintilla accendesse in maniera permanete i nostri cuori! Se questo fuoco eterno bruciasse, nel braciere del cuore nostro, senza mai estinguersi! Dobbiamo chiedere allo Spirito Santo la sua presenza in noi e tra noi; attenderlo, come i discepoli in preghiera con Maria nel cenacolo, confessando che senza la sua forza, non abbiamo forza, privi del suo vigore, siamo spossati e deboli, sprovvisti del suo aiuto, siamo nelle tenebre. Con Lui, invece, nulla è impossibile!

Dobbiamo correre nella vita e correre con perseveranza, visto che, insegna il Maestro, “con la vostra perseveranza salverete la vostra vita” (Lc 21,19). Il nostro non è né il tempo della corsa e dell’impegno – desideriamo tutto e subito e soprattutto, con il minore impegno e il massimo profitto – tantomeno della pazienza e della fedeltà. Spesso iniziamo con entusiasmo una cosa nuova, ma poi, mancando di costanza, abbandoniamo l’impresa intrapresa con tanta gioia. Segno che o il desiderio era superficiale o che è mancata l’operosa perseveranza, la volontà di non farsi abbattere da nulla. La mancanza di pazienza, nelle relazioni, porta alla lite ed alimenta la diffidenza, a livello personale, fa crescere lo scoraggiamento e ci porta a convincerci che la strada scelta non era quella vera, che ci siamo illusi. La verità è un’altra, manca il coraggio di rischiare, di prendersi tempo, di aspettare come il contadino, ma non inermi, quando alacremente, operosamente che il terreno dia il frutto sperato e per il quale si è profuso tanto lavoro. La pazienza si traduce in impegno e sfida, creando occasioni significative perché il rapporto si rigeneri. In caso contrario, si può vivere anche la fedeltà, ma è di facciata, come la verginità delle donne stolte che attendono sì lo sposo, ma non portano con sé l’olio in piccoli e vasi e rimangono fuori. Correre sì, ma con perseveranza e pazienza, desiderio di procedere, anche tra le difficoltà ed impegno di giungere alla meta prefissata.
La vita cristiana è una corsa. Non lo fu forse per Maria, che andò verso la casa di Elisabetta, per donarle la carità, che il suo seno conteneva misteriosamente? L’evangelista Luca dice che “andò in fretta” (Lc 1,39), con quel passo veloce che non ammette lentezze e che solo lo Spirito spinge. Anche per la Vergine Maria la vita non fu una corsa, se si diresse in fretta verso la casa di Zaccaria ed Elisabetta? E per lo stesso Gesù, prima dell’inizio della vita pubblica, andò deserto, per condividere il cammino del popolo, uscito dall’Egitto e venire a contesa con Satana, nell’agone spirituale del discernimento. E Pietro ed il discepolo amato forse non corsero al sepolcro, per rendersi conto della veridicità della parola della Maddalena? Anche l’apostolo Paolo comprenderà la vita come un combattimento e una corsa, se scriverà ai Corinzi “Non sapete che nelle corse allo stadio tutti corrono, ma uno solo conquista il premio? Correte anche voi in modo da conquistarlo! Però ogni atleta è temperante in tutto; essi lo fanno per ottenere una corona corruttibile, noi invece una incorruttibile. Io dunque corro, ma non come chi è senza mèta; faccio il pugilato, ma non come chi batte l’aria, anzi tratto duramente il mio corpo e lo trascino in schiavitù perché non succeda che dopo avere predicato agli altri, venga io stesso squalificato” (1Cor 9,24-27), mentre ai Filippesi confiderà “Non ho certo raggiunto la meta, non sono arrivato alla perfezione; ma mi sforzo di correre per conquistarla, perché anch’io sono stato conquistato da Gesù Cristo” (Fil 3,12).

Correre con perseveranza, diventa possibile perché non siamo soli nel cammino, siamo, infatti, “circondati da un gran numero di testimoni”. La comunione è la nostra forza ed il nostro incoraggiamento, l’aiuto per combattere il male e per far vincere il bene. Non dobbiamo disperare, è possibile liberarsi dei fardelli, interiori ed esteriori, che rallentano il nostro cammino. La corsa, infatti, diventa più spedita, se abbiamo veramente “deposto tutto ciò che è di peso e il peccato che ci intralcia”. Dobbiamo lottare contro il male e non avere paura di dichiarare guerra a Satana. Se Dio va amato con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutta la forza, con altrettanta totalità di intenzioni e di volontà è necessario combattere il male ed avversare i pianidel demonio, senza dargli tregua, perché “come un leone ruggente va in giro cercando chi divorare” (1Pt 5,8). Prima ancora di deporre il peccato e quanto ci intralcia nel cammino spirituale, dobbiamo chiedere la grazia di guardare in verità la nostra vita e di smascherare le trame del nemico, che cambia le carte intavola e fa vedere il male bene ed il bene come un male. Solo se io comprendo che il peccato non è l’affermazione della mia libertà, ma la schiavitù dell’egoismo, solo se capisco che il tentatore si finge mio amico, ma mi propina la disobbedienza, come strada della gioia, quando, invece, è la via della disperazione e della solitudine, solo allora riuscirò ad odiare il peccato e a decidermi per Dio. Il Nemico, che conosce l’inclinazione del nostro debole cuore e la concupiscenza che bracca la nostra volontà, ci mostra nel piacere la nostra realizzazione e nell’affermazione di noi stessi la fonte della vita. Non c’è illusione più grande! Tutto ciò che il demonio ci propone ha solo l’apparenza della luce, ma è tenebra profonda. Noi, invece, crediamo a quanto ci dice, perché sentiamo che il nostro io risponde affermativamente, perché la parte di noi che ricerca l’affermazione ed il godimento fuori dalla volontà di Dio e lontano dalla sua presenza amorosa e liberante ci illude che quanto il nemico ci propone sia vero. È per noi difficile comprendere che “La carne ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne; queste cose si oppongono a vicenda, sicché voi non fate quello che vorreste” (Gal 5,17). Il peccato, anche se ha la parvenza del bene, rappresenta la nostra morte e se noi non comprendiamo che peccando si contravviene alla legge di Dio e ai suoi comandamenti e non si giunge alla vera gioia per cui siamo stati creati, non si inizierà a combattere il male, a non lasciargli tregua. Dobbiamo riflettere su quanto sia necessario non assecondare gli istinti di ogni genere, che ci spingono all’azione non secondo Dio e determinano l’uso distorto della nostra volontà; dobbiamo comprendere quanto sia opportuno chiedere al Signore di rafforzare la nostra determinazione, per vincere il fascino del male e dei suoi desideri che, se non domati dalla grazia divina, si impongono e ci travolgono; dobbiamo, con umiltà, confessare che senza Dio, non possiamo far nulla, perché possiamo illuderci di camminare nel bene, quando, invece, siamo vittima di Satana, che ride della nostra stupidità e ci conduce nella valle della morte eterna. Una volta che lo Spirito di Dio ci ha aperto gli occhi sul pericolo del male, potremmo liberarcene, lavorare su noi stessi per evitare le occasioni, limitarne la forza, con il ricorso alla preghiera, attraverso il consiglio e la direzione spirituale. Non c’è prezzo per una vita che non permette al Nemico di schiavizzarci e che impedisce ad ogni genere di peccato di porre bastoni tra le ruote, nel cammino verso la pienezza della gioia che Cristo solo può donare.

Guardare verso Gesù crocifisso e risorto, sempre

La vita è una corsa e guai a fermarsi. Comunemente si dice chi si ferma è perduto, quanto più questo è vero, nella vita spirituale, nella quale fermarsi, quasi a godere le conquiste raggiunte – conquistare nella vita spirituale significa perdere! – vuol dire tornare indietro, perché il cuore facilmente si ammala di sclerocardia, quando ci si ferma nell’amore e nel dono. Anche nella vita familiare e di coppia non è possibile fermarsi, perché è necessario sempre correre, correre con perseveranza, correre nell’amore, correre nel sacrificio, senza guardare se l’altro si dona o meno, correre, non per superare l’altro, ma per arrivare ultimo, perché l’altro/a abbia sempre il primo posto. Chi ama dice come Gionata a Davide “io sarò a te secondo” (1Sam 23,17), ovvero tu hai il primo posto nella mia vita, la tua vita ed il tuo bene, la tua realizzazione e la tua gioia vengono prima di me. Quanto è importante correre, farlo insieme e soprattutto incoraggiarsi, quando la stanchezza si fa sentire, quando sembra che la tristezza prenda il sopravvento e la notte del cuore prevalga sul bene promesso e sull’impegno profuso o da vivere ancora. In quei momenti, la preghiera deve essere la nostra lampada e la fiducia incondizionata in Dio reggere il desiderio della fedeltà promessa davanti all’altare. Quanta stanchezza nei nostri rapporti! Quante volte vorremmo terminare la corsa e decretare la morte, che è poi l’affermazione del proprio egoismo. Non possiamo e dobbiamo frenare la corsa dell’amore, anche quando tutto sembra contrario. Guardando a Gesù, dobbiamo continuare a salire il nostro Golgota, perché solo il dono della vita per amore è il segno che stiamo veramente seguendo Gesù. Dobbiamo chiedere al Signore il dono della perseveranza, la grazia della pazienza. È questo l’unico antidoto all’impulsività e all’ira che si traduce poi in violenza verbale e chiusura del cuore. Avere pazienza significa vedere il bene, perseguire il meglio, intravedere, tra le nuvole, la luce, attendere che le prime luci del giorno nuovo mettano in fugala notte. Anche noi siamo circondati da tanti testimoni di Vangelo vissuto, perché non solo non è impossibile essere santi, ma a tutti il Signore concede la sua grazia, la forza che ci rende invincibili, anche dinanzi al Nemico. La confidenza e l’abbandono sono il terreno nel quale i talenti si sviluppano e giungono a maturazione. Gli esempi positivi, le parole di incoraggiamento, le condivisioni con chi ha vissuto momenti simili ai nostri rappresentano le strade attraverso le quali il Signore ci parla e ci chiede di non gettare la spugna e di continuare a sperare e ad amare. Se non c’è sacrificio, si può veramente parlare di amore? Se non si vive l’offerta, che senso ha il rinnegamento della propria volontà? Se non si fortifica la nostra volontà nella ricerca del nostro vero bene, possiamo veramente dire che stiamo seguendo Cristo?

Non dobbiamo dimenticare che abbiamo una meta, davanti a noi c’è Cristo a determinare le nostre scelte, ispirare i nostri pensieri, motivare il nostro impegno nel mondo. Gesù ci sta sì davanti, ma è crocifisso, ovvero ci mostra che la strada da percorrere è la sua croce, è Lui che “in cambio della gioia che gli era posta innanzi, si sottopose alla croce, disprezzando l’ignominia” (v. 2). Guardare fisso verso Cristo, senza distrarsi è l’impegno che deve scandire la nostra vita. Se guardo verso la croce, tutto diventa secondario, le difficoltà si sopportano con abbandono in Dio, i problemi si affrontano con la forza dello Spirito ed ogni angoscia, deposta nelle mani del Padre, si muterà in vita nuova e vera. Solo pensando “attentamente a colui che ha sopportato contro di sé una così grande ostilità dei peccatori” potremo non stancarci, né soccombere o perderci d’animo. Se il nostro cuore verrà espugnato da Dio, dall’ardente e dolce forza del suo amore, la vita diverrà una corsa, per giungere a Cristo ed essere creature nuove in Lui.




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Cari lettori di Punto Famiglia,
stiamo vivendo un tempo di prova e di preoccupazione riguardo il presente e il futuro. Questo virus è entrato prepotentemente nella nostra quotidianità e ci ha obbligati a rivedere i tempi del lavoro, delle amicizie, delle Celebrazioni. Insomma, ha rivoluzionato tutta la nostra vita e non sappiamo fin dove ci porterà e per quanto tempo. Ci fidiamo delle indicazioni che provengono dal Governo e dagli organi sanitari preposti ma nello stesso tempo manifestiamo con la nostra fede che “il Signore ci guiderà sempre” (cfr Is 58,11).

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