CORRISPONDENZA FAMILIARE

di don Silvio Longobardi

Per favore, risparmiateci l’ipocrisia!

26 Agosto 2019

telecomando

È facile seguire il vento e dire quello che tutti vogliono sentire. È difficile andare controcorrente e difendere gli innocenti a cui la società ha tolto ogni carta d’identità. La regola dell’accoglienza vale sempre e vale per tutti e soprattutto… per il bambino non ancora nato.

Per favore, risparmiateci l’ipocrisia. Una società che ammette, giustifica e sponsorizza l’aborto, cioè la soppressione violenta di un bambino nei primi mesi di vita (e sfido chiunque a dimostrare che non si tratta di un essere umano) non ha il diritto di denunciare l’aumento esponenziale dell’odio e dell’indifferenza. Verrebbe da dire con la saggezza degli antichi: “Chi è causa del suo mal, pianga se stesso”. Un proverbio irritante ma carico di realismo.

E quelli, tra i cattolici, che non dicono nessuna parola per condannare la violenza perpetrata a sangue freddo contro inermi bambini, accucciati nel grembo delle madri, non possono presentarsi come i paladini dell’accoglienza senza se e senza ma. È facile seguire il vento e dire quello che tutti vogliono sentire. È difficile andare controcorrente e difendere gli innocenti a cui la società ha tolto ogni carta d’identità. “Se uno il coraggio non ce l’ha, non se lo può dare”, diceva don Abbondio. Chi non ha il coraggio di parlare in difesa di quei bambini che Madre Teresa chiamava “i più poveri dei poveri”, abbia almeno il pudore di stare zitto. Non venga a farci la morale e non pretenda di salire in cattedra con la veste immacolata del cittadino solidale. La regola dell’accoglienza vale sempre e vale per tutti.

Leggi anche: Il bene impossibile. Appunti per un’etica del martirio 

La carità inizia dallo sguardo. Per questo i bambini non ancora nati sono sistematicamente esclusi da ogni dibattito pubblico, è assai difficile (praticamente impossibile) ascoltare in tv l’esperienza di una donna che racconta con dolore la scelta di abortire; o la storia di una mamma che ha saputo vincere la tentazione di sopprimere quella vita che portava in grembo ed oggi stringe tra le braccia il suo bambino. Sui mezzi di informazione possiamo trovare le immagini più violente ma se provi a inserire una foto di un bambino abortito, prima ricevi migliaia di insulti dai paladini della (propria) libertà e poi rischi di vedere oscurato il tuo account dalle inflessibili Guardie del Pensiero Unico.

Per favore, risparmiateci l’ipocrisia di tutti coloro che applaudono le ONG che raccolgono i migranti e dimenticano tutti coloro che senza suonare la tromba, a spese proprie, vivono nei Paesi più poveri del mondo per restituire dignità a quanti sono privi dei beni essenziali. I mezzi di informazione sono tutti concentrati su queste navi che, senza correre alcun rischio, solcano il Mediterraneo alla ricerca di migranti buttati in mare da trafficanti senza scrupoli. Chi legge o segue la cronaca mediatica ha l’impressione che sia questo l’avamposto della civiltà. E invece, la vera battaglia per la dignità si combatte altrove e, troppo spesso, con risorse radicalmente insufficienti per rispondere alle necessità delle popolazioni locali.

Per favore, risparmiateci l’ipocrisia di chi parla solo dei migranti e non si accorge o non vuole vedere quel crescente disagio presente nella società. Perché questa sproporzione così evidente? Perché tanti inviati sul mare e pochi o nessuno nei tuguri e negli anfratti dei quartieri? Perché tanta gente applaude i migranti che sbarcano e poi vanno a casa, tranquilli e contenti, convinti di aver assolto ad un imprescindibile dovere sociale e magari non si accorgono di quell’anziano che vive da solo o di quella mamma che non sa come fare con il figlio disabile. Se la telecamera dei media fosse più presente in questi luoghi, se i nostri quotidiani dessero meno spazio al gossip e più attenzione ai poveri forse i Sindaci sarebbero costretti a intervenire con tempestività e intelligenza. Non risolveremmo tutti i problemi ma avremmo città più solidali. 

La carità chiede di avere occhi aperti sempre e comunque, su quelli che vengono da lontano e su quelli che sono vicini, su quelli che gridano aiuto e quelli che non hanno nemmeno la forza di farlo. Su quelli che sono già nati e quelli che hanno il diritto di vedere la luce. La carità, quella vera, non ha confini. In fondo, è questo il compito della Chiesa: aprire gli occhi di tutti e riempire il cuore di un amore così grande da rispondere alle necessità di tutti. Una Chiesa che parla a tutti e non dimentica nessuno. Una Chiesa che non insegue le mode e non teme di dire quello che nessuno vuole sentire. Non mi pare di chiedere troppo, anzi a me sembra il minimo sindacale.




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