
In buona compagnia
di don Silvio Longobardi
Dal Vangelo secondo Luca (Lc 14,1.7-14)
Avvenne che un sabato Gesù si recò a casa di uno dei capi dei farisei per pranzare ed essi stavano a osservarlo. Diceva agli invitati una parabola, notando come sceglievano i primi posti: «Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più degno di te, e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: “Cèdigli il posto!”. Allora dovrai con vergogna occupare l’ultimo posto. Invece, quando sei invitato, va’ a metterti all’ultimo posto, perché quando viene colui che ti ha invitato ti dica: “Amico, vieni più avanti!”. Allora ne avrai onore davanti a tutti i commensali. Perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato». Disse poi a colui che l’aveva invitato: «Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici né i tuoi fratelli né i tuoi parenti né i ricchi vicini, perché a loro volta non ti invitino anch’essi e tu abbia il contraccambio. Al contrario, quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti».
Il commento
“Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto” (14,7). In queste parole possiamo individuare un criterio fondamentale della coscienza di fede: nella misura in cui l’uomo abbassa se stesso, riconosce la grandezza di Dio. Il primo movimento è direttamente proporzionale al secondo. Se siamo preoccupati unicamente di affermare noi stessi, non c’è spazio per Dio. Se abbiamo in cantiere tanti progetti da realizzare ad ogni costo, non ci interessa più sapere che cosa Dio vuole da noi. Se non siamo disposti a mettere da parte le nostre attese, Dio resta nell’angolo. Se siamo preoccupati solo delle cose della terra, quelle del Cielo possono aspettare. Lo scontro tra l’orgoglio e l’umiltà accompagna tutta la vita dell’uomo e tutta la storia umana. Quanto più comprende e accoglie la sua piccolezza e i suoi limiti, tanto più l’uomo riconosce che Dio solo è grande e degno di ogni lode. Si tratta di due movimenti inversamente proporzionali. La tradizione spirituale ricorda che “l’umiltà non è uno dei cibi della festa, ma il condimento di tutte le vivande”. È Dio che insegna all’uomo l’umiltà, Lui che ha scelto di spogliarsi di ogni grandezza per vestire la nostra fragile condizione, Lui che si è fatto servo (Fil 2,6). Chi contempla questa icona divina resta abbagliato e comprende che la via della gioia non passa per la ricerca affannosa e disperata di se stessi ma si nutre di quella quotidiana disponibilità a donare se stessi, goccia a goccia.
I santi hanno molto da dire su questo punto, proprio perché hanno riconosciuto di essere niente hanno permesso a Dio di agire in loro. Teresa di Lisieux appartiene a questa categoria. Con semplicità scrive: “Prendiamoci per mano, sorellina diletta, e corriamo verso l’ultimo posto… Nessuno verrà a contendercelo!…” (LT 242). Ha proprio ragione: nessuno cercherà di sottrarci questo privilegio e forse incontreremo pochi amici disposti a condividere questa scelta ma avremo la gioia di trovare che quel posto è già occupato da … Gesù. E dunque saremo in buona compagnia. Tutto questo basta e avanza per essere felici.
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