
Il vecchio e il nuovo
di don Silvio Longobardi
Dal Vangelo secondo Luca (Lc 5,33-39)
In quel tempo, i farisei e i loro scribi dissero a Gesù: «I discepoli di Giovanni digiunano spesso e fanno preghiere, così pure i discepoli dei farisei; i tuoi invece mangiano e bevono!». Gesù rispose loro: «Potete forse far digiunare gli invitati a nozze quando lo sposo è con loro? Ma verranno giorni quando lo sposo sarà loro tolto: allora in quei giorni digiuneranno». Diceva loro anche una parabola: «Nessuno strappa un pezzo da un vestito nuovo per metterlo su un vestito vecchio; altrimenti il nuovo lo strappa e al vecchio non si adatta il pezzo preso dal nuovo. E nessuno versa vino nuovo in otri vecchi; altrimenti il vino nuovo spaccherà gli otri, si spanderà e gli otri andranno perduti. Il vino nuovo bisogna versarlo in otri nuovi. Nessuno poi che beve il vino vecchio desidera il nuovo, perché dice: “Il vecchio è gradevole!”».
Il commento
«Nessuno poi che beve il vino vecchio desidera il nuovo, perché dice: “Il vecchio è gradevole!”» (5,39). In questo brano l’aggettivo nuovo compare sette volte (!), un’insistenza voluta per sottolineare che la parola di Gesù non si contrappone a quella antica ma è radicalmente differente. L’iniziale predicazione è accompagnata da gesti ed eventi carichi di speranza: il lebbroso guarito (5, 12-16), il paralitico perdonato (5,19-26), la chiamata di Levi (5, 27-28). Ciascuno di questi episodi contiene e annuncia quella novità che Dio vuole donare a Israele. Gesù non è venuto per aggiustare qualcosa o per rammendare alcuni aspetti della vita religiosa. È venuto per offrire un fondamento nuovo all’esperienza religiosa e allargare l’orizzonte. Non rinnega i precetti che da secoli accompagnano la coscienza d’Israele ma vuole rivestirli di un nuovo significato. La religiosità è fatta di pratiche che si ripetono stancamente, la fede invece è l’incontro con un Dio che ci rende nuovi. I riti non cambiano né ci chiedono di cambiare. La fede invece domanda di rivestirci di Cristo, cioè di assumere la sua stessa vita. Quando ha ricevuto la luce della fede, l’apostolo Paolo non ha avuto dubbi, ha compreso che tutto quello che aveva ricevuto era solo spazzatura dinanzi alla grazia che Dio donava per mezzo di Cristo, suo Figlio (Fil 3, 7-8). Il passaggio dal vecchio al nuovo sembra scontato. E invece le parole conclusive di questo brano lasciano intravedere tutta l’amarezza di Gesù nel constatare quanto sia difficile incamminarsi nei sentieri nuovi del vangelo, senza più sicurezze esterne, portando nel cuore solamente l’interiore certezza dell’amore di Dio. Questo vale anche per noi: la proposta di camminare nella via della santità sembra affascinare ogni cuore e suscita desideri sinceri di rinnovamento, salvo poi scoprire quant’è difficile abbandonare le vecchie abitudini e far posto al “nuovo”. Il Vangelo non chiede di cambiare le cose ma di cambiare se stessi. È questa la prima e più grande rivoluzione. Ed è questa la grazia che oggi chiediamo.
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