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Prof bullizzata a Salerno: quale scuola per i nostri figli?

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di Giovanna Abbagnara

I titoli impazzano: ragazzi bullizzano la prof che non riesce a fare l’appello. Si fa presto a parlare di bullismo, ma spesso una situazione come questa racconta ben altri tipi di disagio.

Salerno – Nella scuola Regina Margherita una professoressa non riesce a fare l’appello in aula. Ripete lo stesso nome più volte, qualcuno riprendere la scena con un cellulare, l’alunna in questione qualche volta scherza, ma spesso risponde “Presente”. Alla domanda: “Sei tu Bassano?” risponde “Sì” in maniera convinta ma la prof insiste. 

In un’intervista a Il Mattino, la Preside del Regina Margherita di Salerno ha parlato dell’episodio e ha accusato una persona esterna alla scuola di aver diffuso le immagini. Ma dopo la diffusione dei video, e le indagini interne, gli studenti avrebbero incontrato l’insegnante, e le avrebbero porto le scuse, in particolare l’allievo autore dei video. Questo atto di umiltà, tuttavia, non li esenterà dai provvedimenti che la preside ha intenzione di mettere in atto nei loro confronti, secondo il regolamento dell’Istituto.

Nel video è evidente la condizione di disorientamento e confusione della professoressa, ma è evidente anche lo stupore dei ragazzi che si trovano costretti a ripetere la stessa cosa in maniera quasi compulsiva.

È una pagina di scuola che mette in luce una distanza sempre maggiore tra il docente e gli alunni. È la cartina di tornasole di un sistema in cui in Italia la scuola è stata burocratizzata fino all’inverosimile, gestita come delle aziende produttive dove c’è la corsa a sfornare più cento alla fine dell’anno. Quello che si è perso certamente è la capacità di educare alla relazione, di guardarsi negli occhi, di riconoscere nel docente quella autorevolezza capace di orientare la propria vita verso il bene.

È fin troppo semplice puntare il dito contro gli alunni, la loro mancanza di educazione e il bullismo che sembra regnare sovrano. Non possiamo scaricare il problema così facilmente. Quanti insegnanti hanno rinunciato ad educare e si limitano a trasmettere qualche nozione senza passione e senza entusiasmo? Per non parlare poi dei genitori, spesso assenti o iperprotettivi fino ad arrivare a minacciare il prof di turno troppo severo con il proprio figlio. Perché il principio che regna sovrano è: ognuno è libero di fare quello che vuole. Si insegue la libertà come lo spazio dell’affermazione. Quale illusione peggiore potevano creare le nuove e pressanti ideologie! 

L’arte di educare è invece l’arte di stare nelle regole, di riconoscere l’autorità del maestro, rispettarlo e avere l’umiltà e la pazienza di capire insieme a lui la strada da percorrere per diventare interiormente più forti. Allo stesso modo il compito dell’insegnante è quello di dare ai ragazzi gli strumenti per avere ali abbastanza forti da affrontare le sfide che il mondo ti presenta. 

Quando mio figlio aveva sette anni ha iniziato a frequentare una palestra di arti marziali, il karate precisamente. Quella disciplina faticosa, costante, chiedeva continuamente di scontrarsi con i suoi limiti fisici e mentali. Quell’esercizio lo spingeva a conoscere se stesso e a dominare in un certo qual modo le proprie fragilità e debolezze senza esserne schiacciato. È diventato più forte interiormente. Il suo maestro non è stato solo un insegnante di disciplina ma ha saputo creare con ognuno dei suoi discenti un rapporto personale e unico. Ancora oggi è un punto di riferimento importante. 

Mi rendo conto che la questione non è semplice da dipanare. Il sistema è complesso. Gli insegnanti precari spesso sono utilizzati per coprire le cattedre di sostegno senza una adeguata formazione. Conosco mie amiche, vincitrici di concorso, che fanno su e giù da regioni lontane e spendono quasi tutto lo stipendio per tornare in famiglia nei week end.  Insomma, il sistema scolastico in Italia produce docenti frustati e alunni spenti. 

Certamente non è sempre così ma dobbiamo rimettere tutti in condizione di educare e ridare ai nostri figli il diritto di crescere. Vedo i miei nipotini alle scuole elementari fare gli esercizi in cui devono sbarrare la risposta giusta su fotocopie attaccate sui quadernoni più grandi di loro. E vedo i miei giovani al liceo fare altrettanto. Ormai siamo all’era delle prove invalsi, delle crocette. Non si scrive più, non si riflette più. Non si fa la fatica di trascrivere su un foglio bianco i propri pensieri. 

C’è qualcosa che ci sfugge… 

 




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