Vita

Il canale del parto, quel confine che decide della dignità di un uomo

nascita

di Filomena Civale, medico

Nella Babele della giurisdizione italiana la confusione tra diritti e doveri ci porta ad una sola grande verità: l’esistenza umana inizia dalla vita intrauterina.

Quando si è o si diventa persona? Questa domanda mi tormenta da quando ho cominciato a fare i conti col fatto che secondo la legge italiana, il frutto del grembo di una madre non ha dignità di persona.

Ancora una volta mi domando se questo non è un uomo, allora cos’è? Interrogativi destinati a restare senza risposta, perché lo Stato sembra essersi arrogato il diritto di cancellare la legge scritta in ogni uomo, quella che dà dignità a tutti gli esseri umani in ogni fase della loro vita, dal suo inizio fino alla fine naturale.

Secondo la legge italiana infatti, acquistare capacità giuridica significa diventare persona e cioè titolare di diritti e di doveri. Ma quando si acquisisce la capacità giuridica? Per le persone fisiche si acquisisce con la nascita e si perde con la morte. In campo civile, ai fini dell’acquisizione della capacità giuridica occorre che, quello che la scienza in termini per nulla umani definisce “prodotto del concepimento”:

  • sia completamente fuoriuscito dall’alvo materno;
  • sia in possesso di vitalità cronologica, ossia abbia raggiunto 180 giorni di vita intrauterina;
  • abbia respirato. Se il concepito, infatti, muore nella fase apnoica della vita extrauterina, non acquisterà capacità giuridica. L’avvenuta respirazione potrà essere documentata in post-mortem mediante le prove docimastiche.

In campo penale, affinché si possa configurare il delitto di infanticidio o di omicidio occorre accertare che il “prodotto del concepimento” fosse vitale. In poche parole, secondo la legge italiana si può parlare di infanticidio solo immediatamente dopo il parto, nel caso in cui sia stata accertata la vitalità del neonato nel post-partum.

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In caso di morte prima del parto, lo stesso individuo che a distanza di poco tempo sarebbe nato e avrebbe acquisito capacità giuridica, non è titolare di diritti ed è considerato solo un prodotto. Tale morte non può configurare il reato di infanticidio né feticidio semplicemente perché il parto non è avvenuto.

C’è qualcosa di macabro in queste sterili definizioni legali, un qualcosa che ci ha portato ad assopire le coscienze e ad offrire definizioni ad hoc per giustificare leggi (ndr 194) che cancellano la dignità di persona a chi vive nel grembo di una madre.

Cambiare un nome non cambia la sostanza, una legge non è in grado di rendere giusto ciò che non lo è perché la Verità non è data dalla maggioranza.

Questa è la Babele della giurisdizione italiana, fatta di cavilli che hanno l’unico scopo di confonderci. Se al feto fosse stata conferita una capacità giuridica sarebbe stato titolare del diritto alla vita, diritto che è stato negato a più di 6 milioni di bambini dall’approvazione della 194. Eppure per onestà intellettuale, medici e giuristi potrebbero ben testimoniare che il feto non è un prodotto proprio perché non è un oggetto, ma soltanto un essere umano, una persona, ai primi stadi della sua vita.

Il canale del parto non è un luogo magico che permette l’acquisizione del titolo di persona. Si è persona dal momento in cui si esiste e già da molti anni la Scienza, oggi supportata da metodiche di diagnostica strumentale come l’ecografia, ha permesso di affermare che l’esistenza inizia nel grembo di una madre.




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