XXIX Domenica del Tempo Ordinario – Anno C 20 ottobre 2019

È la Scrittura che nutre la fede e la nostra vita

Se la fede resta un puro sentimento, alla prima tempesta, la casa, costruita sulla sabbia, crollerà, mentre se c’è un pensare Dio ed un riflettere con Dio, un amare Lui e con Lui, un’azione, secondo il suo disegno, allora la vita, oltre ad essere irradiata dalla luce del suo Santo Spirito, diventa una casa ben costruita, perché nulla e nessuno potrà destabilizzare colui che crede, spera ed ama Dio in ogni creatura e attività umana.

Dalla Seconda Lettera di san Paolo apostolo a Timoteo (3,14-4, 2)
L’uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona.
Figlio mio, tu rimani saldo in quello che hai imparato e che credi fermamente. Conosci coloro da cui lo hai appreso e conosci le sacre Scritture fin dall’infanzia: queste possono istruirti per la salvezza, che si ottiene mediante la fede in Cristo Gesù.
Tutta la Scrittura, ispirata da Dio, è anche utile per insegnare, convincere, correggere ed educare nella giustizia, perché l’uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona.
Ti scongiuro davanti a Dio e a Cristo Gesù, che verrà a giudicare i vivi e i morti, per la sua manifestazione e il suo regno: annuncia la Parola, insisti al momento opportuno e non opportuno, ammonisci, rimprovera, esorta con ogni magnanimità e insegnamento.

 

La liturgia di questa domenica spinge il nostro sguardo verso Cristo, per apprendere da Lui il segreto del dialogo orante con il Padre. La preghiera, infatti, nella vita cristiana è un aspetto essenziale, perché pregare è come respirare ed ogni relazione ha bisogno di un dialogo continuo, perché cresca e si consolidi nel tempo. Anche nel rapporto con Dio Padre abbiamo bisogno di tempo e di spazio opportuno, di sguardi e di silenzi e tutto questo è compreso nella preghiera, perché l’incontro con Dio sia per noi sorgente umanizzata, che ritempra il nostro cuore, donandoci energie da riversare nella storia.
Nella pagina odierna del Vangelo (cf. Lc 18,1-8), Gesù, ormai prossimo a Gerusalemme, dona ai suoi una parabola “sulla necessità di pregare sempre senza stancarsi”. La figura della vedova che con insistenza chiede giustizia al giudice richiama l’amico inopportuno (cf. Lc 1,5-13), perché il discepolo di Cristo sappia confidare totalmente in Lui, senza perdere la speranza di essere presto esaudito. Anche la Prima Lettura, tratta dal libro dell’Esodo, (cf. Es 17,8-13) ci parla di preghiera. Mosè, mentre il popolo, guidato da Giosuè combatte contro Amalek, stava sul monte, con le mani alzate, in segno di preghiera, ad intercedere perché Israele non venisse meno nella battaglia. La vittoria diventa il frutto di chi combatte, come di chi prega e tale dinamica è vera sempre, nella vita cristiana, perché azione e contemplazione vanno insieme. Nella Seconda Lettura (2Tm 3,14-4,2), l’apostolo Paolo continua a rivolgersi a Timoteo, ponendo l’accento sull’importanza della Scrittura nella vita di fede. È dalla Parola di Dio che scaturisce l’annuncio e l’ammonizione, l’esortazione e l’insegnamento.
Gesù è il Maestro di preghiera (Vangelo), perché solo Lui, che è il Figlio unigenito, rivela il volto del Padre e ci insegna come dialogare con Lui. Parlando cuore a cuore con Dio, non portiamo a Lui le situazioni della nostra vita, ma diveniamo anche mediatori per i nostri fratelli, quando chiediamo la forza perché non soccombano nella lotta (Prima Lettura). La relazione con Dio deve però nutrirsi della Sacra Scrittura, è quella la fonte da cui attingere le parole ai fratelli, perché da essa apprendiamo il giusto modo di relazionarsi con Dio e tra noi (Seconda Lettura).

La grazia dell’insegnamento

La pericope odierna, offertaci come secondalettura, attinge, anche questa domenica, dalla Seconda Lettera di Paolo ai Timoteo, mostrandoti come l’Apostolo continui ad ammaestrare il suo fedele collaboratore, perché sia irreprensibile in tutto. Sembra, a quanto si legge, che il cammino di formazione non termini mai, perché tutti sono chiamati a “rendere sempre più salda la propria vocazione e la propria elezione”, in un itinerario di conversione continua a Cristo e al suo Vangelo. Il brano di oggi raccoglie parte del terzo e del quarto capitolo, in un crescendo continuo di esortazioni, perché Timoteo sia ben formato, per il compito che gli è stato affidato. Paolo batte molto su quanto sia importante la fedeltà nel discepolo di Cristo e la capacità di non allontanarsi dalla sana dottrina ricevuta. Per questo scrive: “tu rimani saldo in quello che hai imparato e che credi fermamente” (v. 14). L’insegnamento che Timoteo ha ricevuto, la formazione che gli è stata donata è come una cittadella sicura nella quale egli deve stabilirsi ed abitare, non per difendere la dottrina, ma per nutrirsi di essa e farla crescere nell’esperienza della propria fede in Cristo. I termini usati dall’Apostolo – “hai imparato e che credi fermamente. Conosci coloro da cui lo hai appreso e conosci le sacre Scritture fin dall’infanzia” – sono significativi per comprendere il cammino compito da Timoteo. I misteri della fede si imparano, perché essere cristiani comporta anche mettere a frutto la propria intelligenza, nell’approfondire la storia della salvezza e la rivelazione di Dio agli uomini. L’incontro con Gesù Cristo è totalizzante, comprende il cuore che ama, la mente che pensa, il corpo che vive, i sensi che percepiscono e che ci permettono di relazionarci con il mondo circostante. Tutto il nostro essere incontra Dio, per questo è importante che Gesù plasmi il nostro cuore, purificandolo da ogni egoismo e dalla deriva dell’amore che non persegue il bene, illuminando la mente, perché lo Spirito ci porti a considerare la realtà secondo il suo progetto, spingendo all’opera le nostre capacità, per collaborare con il Creatore nel rendere sempre più bello quanto è uscito dalle sue mani. La formazione alla vita cristiana, oltre a durare tutta la vita, ci riguarda interamente.

Bisogna imparare a credere e nella grazia di dover imparare sempre. Con il termine fede, infatti, si intende sia l’atto di fede in Dio – potremmo dire la fiducia, come abbandono confidente in Lui – ma anche i contenuti della fede, gli enunciati del Credo – si parla solitamente di articoli di fede – che sono come le pietre miliari della nostra vita in Cristo. Se manca una fondazione di riflessione e di approfondimento delle verità rivelate, la fede diventa un puro sentimento, soggetto non solo alle mode del momento, ma anche alle voglie del soggetto. Bisogna fondare razionalmente ed esperienzialmente l’incontro con il Risorto, la sua grazia deve penetrare in noi potentemente, come l’acqua irrora la terra e la rende feconda, nell’accogliere e far germogliare il seme, così abbiamo bisogno che il pensiero di Cristo, i suoi sentimenti (cf. Fil 2,5) trovino in noi quel campo docile di azione e penetrazione. Se la fede resta un puro sentimento, alla prima tempesta, la casa, costruita sulla sabbia, crollerà, mentre se c’è un pensare Dio ed un riflettere con Dio, unamare Lui e con Lui, un’azione, secondo il suo disegno, allora la vita, oltre ad essere irradiata dalla luce del suo Santo Spirito, diventa una casa ben costruita, perché nulla e nessuno potrà destabilizzare colui che crede, spera ed ama Dio in ogni creatura e attività umana. La fede deve diventare vita vissuta e questo serve non solo ad evitare che sia un puro sentimento, che oggi c’è e domani può anche venir meno, ma tale visione serve anche ad evitare una deriva altrettanto preoccupante, quella che rende la fede una pura conoscenza formale di verità, senza che ci sia vita e cuore in ciò che si riflette, pensa ed annuncia.
Paolo, invece, sa bene che la fede va pensata e creduta fermamente e forse anche noi dovremmo maggiormente riflettere su quanto sia importante oggi approfondire i misteri della fede, per essere “sempre pronti a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi” (1Pt 3,15). Il problema dell’evangelizzazione oggi riguarda anche la formazione cristiana, di cui la famiglia è la prima responsabile. È la famiglia, infatti, l’organo educativo e formativo principale e demandare ad altri questo importantissimo compito significa abdicare alla responsabilità primaria che Dio, dopo la trasmissione e la custodia della vita, ha affidato all’uomo e alla donna. Non basta incontrare Cristo, con esperienze sporadiche che, come fuochi di paglia, suscitano il sentimento e sollecitano l’emozione, con pseudo misticismi ed estasi disincarnate. Se la fede viene ridotta a sentire, non durerà, ma passerà e alla prima difficoltà, scontandosi con il terribile quotidiano, non durerà nel tempo e le situazioni contrarie non aiuteranno a crescere e a consolidare ulteriormente l’esperienza. In Paolo l’evento di Damasco ha richiesto un approfondimento razionale ed una riflessione di fede adulta, un cammino di preghiera, una vita spirituale nutrita della parola della Scrittura, sotto la guida sapiente della chiesa, di cui Anania era un testimone privilegiato. La sola esperienza di Damasco non dice nulla del Paolo cristiano, rappresenta l’inizio di un cammino, che con il tempo determinerà nel futuro apostolo delle genti disponibilità totale ed una fede in continua ricerca, per amare Dio “con tutto il cuore, con tuta l’anima e con tutte le forze” (Dt 6,5). Timoteo ha imparato la fede, l’ha ricevuta – era lo stesso Apostolo che lo aveva sottolineato all’inizio del suo scritto – dalla nonna Lòide e dalla mamma Eunìce (cf. 2Tm 1,5), perché solo la testimonianza sincera ed autorevole incide profondamente nella vita. Paolo ritorna sulla catena educativa familiare che ha portato Timoteo alla fede prima e poi al ministero nella Chiesa. Scrivendo “Conosci coloro da cui lo hai appreso e conosci le sacre Scritture fin dall’infanzia” (v. 15), il riferimento all’educazione familiare è velato, ma non è difficile per Timoteo pensare a coloro a cui deve il radicamento in Cristo e la gioia dell’incontro con il Salvatore. Anche noi abbiamo bisogno di figure educative rilevanti nella vita di fede, di persone che indicano in profondità nella mente e nel cuore e che diano la virata iniziale, perché la nave della vita personale prenda il largo, sulla parola di Cristo. Nessuno potrà mai sostituire la formazione cristiana ricevuta in famiglia ed il ruolo della comunità credente non è quello di sostituire l’istituto familiare, ma di affiancarlo nella crescita della fede e nella formazione, perché il credo professato diventi linfa vitale per la propria esistenza. solo così potremo vivere una rinnovata fioritura di vita cristiana.

È la sacra Scrittura che nutre la vita

Quanto Paolo scrive a Timoteo: “conosci le sacre Scritture fin dall’infanzia” (v. 15) potrebbe anche essere volto per una domanda, per un esame della nostra vita di fede: Conosci le sacre Scritture? In essa sei stato formato fin dall’infanzia? L’incontro con la fede in famiglia si è tradotto, nella vita di Timoteo, nello studio e nell’approfondimento della Scrittura. La fede nasce dall’ascolto della buona Novella e si consolida nella conoscenza amorosa della Parola di Dio. Se hai veramente incontrato il Signore, se, al pari di Paolo, sei stato folgorato dall’incontro con il Risorto, sulla via della tua Damasco, allora sarà la cosa più naturale prendere la Scrittura ed iniziare ad approfondire la Parola di Colui che hai incontrato e ha mortalmente colpito il tuo cuore. In amore, sapere tutte della persona amata, rappresenta la cosa più normale e desta curiosità, anzi è un indizio di poco amore e di nessun amore, il mancato interesse e la poca attenzione. Così è anche con Cristo. L’incontro con Lui, la scoperta del suo amore mi spinge ad investigare la sua volontà, ad immergermi nella sua Parola, a conoscere la sua storia, a vedere ciò che Lui ha fatto per amore mio. L’amore genera la gioia della scoperta, nutre la gioia dell’avventura, motiva l’impegno della conoscenza, giustifica la fatica dello studio, supera la stanchezza dell’apprendimento. C’è una cosa più bella che conoscere Cristo, nella sua Scrittura? Di Lui parla la sua Parola, verso di Lui ci conduce l’esperienza dei saggi d’Israele e dei profeti. Non si può essere cristiani, senza amare e studiare la Scrittura e se i latini dicevano nulla die sine linea – nessun giorno senza tracciare una linea, l’espressione di Plinio il Vecchio era riferita al pittore Apelle, che non faceva passare giorno senza dedicarsi all’arte – il discepolo di Cristo deve poter dire che il sole non deve tramontare, senza che abbia preso la Scrittura tra le mani, per leggere e rileggere, meditare e studiare, pregare e ruminare almeno un versetto solo della Parola di Dio. Si tratta di una conoscenza amorosa quella che viene richiesta al credente, di un ascolto prolungato, di una relazione vitale e vitalizzante l’esperienza cristiana e tutta la vita del credente. Timoteo conosce la Scrittura, perché fin dall’infanzia, oltre ad essere stato educato e formato in essa, ne ha nutrito la familiarità, l’ha presa come compagna di vita, in essa si si è applicato con lo studio, nella riflessione orante ha ascoltato Dio, che parla continuamente alla Chiesa e ad ogni suo figlio, per infondere in essi la dolcezza di quell’amore, che bisogna necessariamente riversare nella storia degli uomini, perché non muoiano assetati, privati del dolce balsamo del perdono e della misericordia divina.

La formazione cristiana deve essere nutrita di Scrittura, letta, pregata, approfondita, studiata, tradotta in vita, per la forza dello Spirito Santo. San Luca, nel racconto dei discepoli di Emmaus (cf. Lc 24,13-35) ci mostra proprio come la vita persona e comunitaria si costruisce sulla Parola della Scrittura e sull’Eucaristia e le numerose attestazioni della vita della comunità primitiva ci dicono proprio come i discepoli del Signore abbiano, su queste due colonne, consolidato la propria fede e fondato il loro coraggioso annuncio. I nostri giovani devono ricevere il cibo solido di una formazione che trova nella Scrittura non solo la sua ispirazione, ma la sua forza ed i suoi contenuti. Che tristezza vedere che dei brani del Vangelo vengono letti all’inizio dei nostri incontri e nei vari momenti aggregativi e di preghiera, senza che poi diventino nutrimento nella catechesi e sminuzzati nel confronto. La Scrittura è lampada e deve splendere sempre, nella vita personale, familiare e comunitaria. Senza la Parola di Dio, camminiamo nelle tenebre, possiamo leggere i libri più belli, le riflessioni più ardite, le meditazioni anche più calzanti alle nostre esperienze, ma non sarà mai la potenza di Dio che abita la sua Parola e che può salvare la nostra vita ed opera in coloro che credono (cf. 1Ts 2,13). Il cuore della nostra esperienza di Dio è Cristo Gesù, nelle molteplici modalità che Egli si è dato per incontrarci e donarci salvezza, Gesù Parola e Gesù Eucaristia, Gesù Chiesa e Gesù fratello. È vero che nessuna modalità va assolutizzata a scapito di un’altra, me neppure nessuna strada deve essere misconosciuta. Ci possono essere differenti sensibilità, che portano a preferire una o l’altra, mai però mettere l’una contro l’altra.

Abbiamo veramente bisogno di ritornare a Dio con tutto il cuore e di mettere al centro della nostra esperienza di fede Gesù Cristo. In questo la Parola sua ci aiuta, perché ci porta a crescere in sensibilità, offrendoci il cammino di fede di coloro che, nella relazione con Dio, hanno imparato ad incontrarlo e a testimoniare la potenza della sua misericordia. In tal modo è la Scrittura che ci educa a riconoscere la presenza di Cristo nella nostra vita, educando il cuore e formando la mente a capire che tutto parte dalla Parola di Dio, che significa poi, in ultima analisi, che tutto inizia dall’incontro con Dio, che culmina in Cristo. È la Parola, unitamente alla tradizione della Chiesa, che mi dona la consapevolezza della presenza reale di Gesù nel Pane e nel Vino consacrati; è la Parola che viene da Dio ad educarmi e a promettermi che Cristo si lascia incontrare nel povero e nell’abbandonato, nell’escluso e nel dimenticato, è la Scrittura, che io ricevo per mano degli apostoli, che mi insegna la preghiera del Signore e mi guida a parlare con il Padre e ad accedere a Lui, adorandolo in spirito e verità. È la Scrittura che mi fa comprendere la via dei Santi e mi porta a riflettere sui doni dello Spirito, che anche io ho ricevuto nel battesimo e negli altri sacramenti della Chiesa e che sono chiamato a mettere a frutto nella mia quotidiana esperienza di Dio. È necessario che non solo a livello parrocchiale e comunitario, ci siano proposte formative serie sullo studio della Scrittura ed esperienze di preghiera, si pensi alla lectio divina, ci nutre la vita e trasforma il cuore, facendo diventare la Parola carne della nostra esistenza, ma è soprattutto necessario che a livello familiare si apra e si legga la Scrittura. Per questo papa Francesco ha istituito la Domenica della Paola di Dio nella III Domenica del Tempo Ordinario “per comprendere l’inesauribile ricchezza che proviene da quel dialogo costante di Dio con il suo popolo”. È in famiglia che dobbiamo aprire il Vangelo e professare insieme la nostra fede nella presenza di Dio, nella sua parola di vita. Le Scritture, infatti, scrive sempre l’Apostolo “possono istruirti per la salvezza, che si ottiene mediante la fede in Cristo Gesù” (v. 15), cioè ci portano a sperimentare che Cristo è la nostra salvezza, che Lui è per noi la via, la verità e la vita e che, senza di Lui, non possiamo far nulla. Non abbiamo bisogno di grandi cose, a livello personale e familiare, come anche comunitario, per riscoprire la bellezza del dialogo con Dio, attraverso la sua Parola. Leggere ogni giorno il Vangelo, riflettere sul brano della domenica, ritagliarsi del tempo di adorazione silenziosa, durante la quale, con la Scrittura, si prega e si entra in dialogo con Dio. È bene, con la Scrittura tra le mani, recitare il Credo e ricordare sempre che “Tutta la Scrittura, ispirata da Dio, è anche utile per insegnare, convincere, correggere ed educare nella giustizia, perché l’uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona” (v. 16).

Dalla Parola di Dio interiorizzata alla Parola di Dio annunciata

L’evangelizzazione ci rende Chiesa, perché l’annuncio del Vangelo a tutte le genti è il senso della presenza della comunità credente nel mondo. Scrive Paolo VI, nell’esortazione apostolica Evangelli Nuntiandi (l’annuncio del Vangelo) “evangelizzare è la grazia e la vocazione propria della Chiesa, la sua identità più profonda. Essa esiste per evangelizzare, vale a dire per predicare ed insegnare, essere il canale del dono della grazia, riconciliare i peccatori con Dio, perpetuare nel sacrificio del Cristo nella S. messa che è il memoriale della morte e della sua gloriosa risurrezione” (EN 14). Chi vive la centralità di Cristo, nella propria vita, avverte l’urgenza non solo di essere formato dalla Parola e nutrito dall’Eucaristia, ma anche l’ansia dell’annuncio e della testimonianza, così da poter dire con Paolo “Guai a me, se non annuncio il Vangelo!” (1Cor 9,16). La Parola di Dio assimilata ci rende apostoli, perché cresce in noi Cristo, che dobbiamo donare ai fratelli. Il monito di Paolo a Timoteo – “annuncia la Parola, insisti al momento opportuno e non opportuno, ammonisci, rimprovera, esorta con ogni magnanimità e insegnamento” (4,3) – riguarda tutti noi che, a diverso titolo, per le differenti vocazioni ricevute, siamo Chiesa, corpo del risorto nella storia degli uomini. La nostra formazione deve quindi camminare di pari passo con la gioia di donare Gesù Cristo ai fratelli. Solo così vivremo nella Chiesa una nuova stagione evangelizzatrice, permettendo allo Spirito di guidarci nella comprensione della volontà del Padre, per la vita e la salvezza degli uomini.




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