
A partire da Gesù
di don Silvio Longobardi
Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 21,15-17)
Quando si fu manifestato ai suoi discepoli ed ebbe mangiato con loro, Gesù disse a Simon Pietro: «Simone di Giovanni, mi vuoi bene tu più di costoro?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pasci i miei agnelli».
Gli disse di nuovo: «Simone di Giovanni, mi vuoi bene?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pasci le mie pecorelle».
Gli disse per la terza volta: «Simone di Giovanni, mi vuoi bene?». Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli dicesse: Mi vuoi bene?, e gli disse: «Signore, tu sai tutto; tu sai che ti voglio bene». Gli rispose Gesù: «Pasci le mie pecorelle».
Il commento
“Gli disse per la terza volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene?»” (21,17). Oggi la Chiesa fa memoria di san Giovanni Paolo II. Possiamo giustamente pensare che la domanda risuona tre volte in relazione al triplice rinnegamento di Pietro. Ci sono però anche altre sfumature. L’insistenza fa capire che la vocazione trova la sua forza e la sua unica garanzia nel legame personale con Gesù. Tutto nasce da Lui e tutto cresce nella misura in cui custodiamo l’amore per Lui. Il Signore conosce bene la debolezza del discepolo eppure lo chiama e gli affida un ministero carico di responsabilità. Allo stesso modo, non si stanca di chiamarci per nome e di proporre umilmente la stessa domanda, come se avesse bisogno di noi. Non basta accogliere la chiamata quando la vita appare come un’alba piena di mistero, bisogna rispondere ogni giorno con sempre maggiore consapevolezza. Questo dialogo, che probabilmente avviene in disparte, fa pensare alla preghiera quotidiana con la quale il sacerdote si consegna totalmente, cenere e tutto, nelle mani del suo Signore e da Lui attende la forza per continuare la sua missione.
Leggiamo questo brano nella cornice luminosa di Giovanni Paolo II. Nel libro autobiografico Alzatevi, andiamo presenta così la responsabilità sacerdotale: “il pastore deve andare avanti nel dare la vita per le sue pecore; è lui a dover essere il primo nel sacrificio e nella dedizione. Si offerto alla morte per amore dei suoi” (p. 41). Nella misura in cui resta legato al buon Pastore, il presbitero impara a vivere ogni cosa nella luce dell’obbedienza al Padre e riceve la grazia di fare della vita un servizio umile e gratuito alla comunità dei fratelli. “La gente ha bisogno di uscire dall’anonimato e dalla paura, ha bisogno di essere conosciuta e chiamata per nome, di camminare sicura sui sentieri della vita, di essere ritrovata se perduta, di essere amata, di ricevere la salvezza come dono supremo dell’amore: proprio questo fa Gesù, il buon Pastore; Lui e i presbiteri con Lui” (Pastores dabo vobis, 82). All’intercessione di Giovanni Paolo II oggi affidiamo i presbiteri, specie quelli che sono stanchi e delusi.
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