26 ottobre 2019

26 Ottobre 2019

La palude del possibile

di don Silvio Longobardi

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 13,1-9)
In quel tempo, si presentarono alcuni a riferire a Gesù il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subìto tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo». Diceva anche questa parabola: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: “Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Tàglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?”. Ma quello gli rispose: “Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”».

Il commento

Taglialo dunque, perché deve sfruttare il terreno?” (13,7). Il giudizio è netto, anzi appare ai nostri occhi fin troppo severo. Noi amiamo ricevere parole che accarezzano e tuttavia vi sono situazioni in cui la parola di Dio deve risuonare con la necessaria ruvidezza, come uno schiaffo capace di scuotere il nostro inguaribile torpore. Non poche volte nella vita accade di entrare in una stanza grigia, non abbiamo alcuna voglia di rispondere con responsabilità alla chiamata di Dio, tendiamo a rimandare le scelte e/o a vivere il nostro dovere con eccessiva superficialità, giocando al risparmio. In questi casi Dio interviene con durezza e invita a non “sfruttare il terreno”. Questo verbo può avere un duplice significato: da una parte indica l’atteggiamento di chi approfitta della buona fede altrui; dall’altra fa riferimento alla tenace azione di chi s’impegna per ricavare tutto il bene possibile oppure mette a frutto le competenze acquisite. In questo caso, prevale il valore negativo: l’albero occupa abusivamente uno spazio del terreno, non solo non dà frutto ma impedisce a quella porzione di terreno di portare frutto. 

Passiamo dalla parabola alla vita. Ognuno di noi ha una responsabilità: genitori, insegnanti, educatori, medici, ingegneri, operai… A ciascuno di noi il buon Dio chiede se e come abbiamo messo a frutto i doni ricevuti. Se manca la disponibilità, cioè se non collaboriamo attivamente con la grazia, non possiamo dare agli altri quello che è giusto. Abbiamo ricevuto un compito ma non portiamo i frutti che Dio attende. Quando facciamo una verifica della nostra vita, conoscendo i nostri limiti, abbiamo l’abitudine di dire: “ho fatto tutto il possibile”. È giusto, anzi una tale risposta si presenta condita di umiltà ma… può diventare anche una scusa. Dobbiamo imparare a misurare la vita con le attese di Dio. Dobbiamo fare tutto il possibile che Dio chiede. È necessario fare più spesso una verifica ed è buona cosa chiedere agli altri se abbiamo risposto alle loro attese. Il giudizio altrui può ferire il nostro amore proprio ma può anche evitare di farci restare nella palude del possibile.



Briciole di Vangelo

di don Silvio Longobardi

s.longobardi@puntofamiglia.net

“Tutti da Te aspettano che tu dia loro il cibo in tempo opportuno”, dice il salmista. Il buon Dio non fa mancare il pane ai suoi figli. La Parola accompagna e sostiene il cammino della Chiesa, dona luce e forza a coloro che cercano la verità, indica la via della fedeltà. Ogni giorno risuona questa Parola. Ho voluto raccogliere qualche briciola di questo banchetto che rallegra il cuore per condividere con i fratelli la gioia della fede e la speranza del Vangelo.


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