Tra i quartieri di Napoli, Natale batte Halloween 1-0

San Gregorio Armeno - Napoli

di Ida Giangrande

Una passeggiata nel cuore del centro storico di Napoli e mi accorgo che qui le radici cristiane del nostro popolo sono ancora vive ma, soprattutto, mi accorgo che dove regna incontrastato il Bambino Gesù, non c’è spazio per mostri e zombie.

Domenica scorsa con mio marito e le bambine, abbiamo pensato di andare a trascorrere una giornata nella nostra grande città, Napoli. Vivendo in periferia non è così scontato andare in centro, ma noi lo facciamo spesso. A Natale poi è una vera e propria tradizione andare a visitare San Gregorio Armeno, uno dei quartieri della signora Partenope più conosciuti e apprezzati in tutto il mondo. 

In questa domenica di fine ottobre c’era qualcosa di veramente particolare nell’aria, il sole caldo e profumato di umidità sembrava annunciare la venuta dell’inverno e noi abbiamo deciso di godercelo fino in fondo questo ultimo tepore d’estate. Il percorso? Sempre lo stesso. Parcheggiamo l’auto a Piazza del Carmine e su per il conosciutissimo rettifilo, fino ai quartieri che si aprono come lunghe braccia a partire da Via Duomo. Spicca il viso giovane di San Gennaro sull’entrata di Forcella, lo vedo sempre e sempre mi soffermo a contemplare quel murales perfetto a cui “manca solo la parola” come dicono molti napoletani.

Camminando mi sembra quasi di sentire l’eco della voce di Matilde Serao che rispondendo al Ministro Depretis che aveva suggerito di sventrare Napoli, disse: “Efficace la frase, Voi non lo conoscevate, onorevole Depretis, il ventre di Napoli. Avevate torto, perché voi siete il Governo e il Governo deve saper tutto”. (Matilde Serao, Il ventre di Napoli) E subito dopo scrisse questo libricino tascabile “Il ventre di Napoli” appunto che racconta la vita dei quartieri, quella a cui i napoletani sfuggiti alle epidemie e alle pestilenze erano costretti. Ebbene io mi trovavo proprio lì dove erano vissuti quei napoletani, vivendo in stradine “popolari, senz’aria, senza luce, senza igiene, diguazzando nei ruscelli neri, scavalcando monti d’immondizie, respirando miasmi e bevendo un’acqua corrotta”. (Matilde Serao, Il ventre di Napoli, II) 

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Scorrendo il capitolo secondo di questo straordinario capolavoro si legge: “Questo popolo, per sua naturale gentilezza, ama le case bianche e le colline: onde il giorno di Ognissanti, quando da Napoli, tutta la gente buona porta corone ai morti, sul colle di Poggioreale, in quel cimitero pieno di fiori, di uccelli, di profumi, di marmi, vi è chi l’ha intesa gentilmente esclamare: o Gesù, vurria murì, pe sta ccà!”. (II) All’Università ho riletto quel libricino più volte, lo ricordo quasi a memoria e sorrido mentre calpesto la terra dove la Serao deve essere stata rivivendo parola per parola quell’intreccio formidabile di speranza e disperazione che, oggi come ieri, alberga nelle mura di tufo, nelle stradine strettissime e ombrose dove sono ancora vivi i famosi “bassi” caratteristici della cultura napoletana.

La mia piccola mi tira per un braccio e mi ricorda che è ora di pranzo e dobbiamo mangiare, siamo alla ricerca della pizzeria, ci immergiamo in Via dei Tribunali e lì un’altra sorpresa mi attende. San Gregorio Armeno è già illuminato a festa. Le tradizionali botteghe di presepi sono aperte, qui è già Natale. Nell’aria il profumo delle caldarroste, sulle bancarelle i pastori in movimento, ce n’è una varietà immensa da quelli piccolissimi a quelli a grandezza naturale. Poi il Bambino Gesù biondo, bruno, piccolo, grande, in una culletta di legno o in un giaciglio di paglia, è indiscutibilmente il re del quartiere. Tuttavia quello che più mi colpisce è che qui Halloween non sembra essere mai arrivato. Non ci sono zucche spiritate nelle vetrine, né maschere da zombie sui manichini. I bambini si soffermano stupiti a contemplare i ruscelli in miniatura. Qualcuno guarda dietro per capire da dove viene l’acqua. Qualcun altro si sofferma sulla bancarella dove ci sono le statue di Harry e Meghan, quella del Papa, l’immancabile Maradona e poi Totò, Eduardo, Sofia Loren, Massimo Troisi, insomma lo sguardo è aperto sul mondo ma non c’è traccia di mostri o zombie.

A Napoli, la città eternamente in bilico tra sacro e profano, le radici cristiane sembrano essere sopravvissute, come cristallizzate nell’arte dei maestri artigiani del presepe. Conservate con cura in quell’insieme di tradizioni popolari che la gente porta avanti di generazione in generazione come la più preziosa delle eredità da custodire gelosamente. No, in quei quartieri non c’è solo criminalità. Mi godo la scena con il cuore che trabocca emozioni e ritorno con la mente alla Serao: altro che Halloween, questa è ancora la stessa gente che nel “giorno di Ognissanti, […] porta corone ai morti, sul colle di Poggioreale, in quel cimitero pieno di fiori, di uccelli, di profumi, di marmi”.

Sarò di parte, dato che sono napoletana doc, innamoratissima della mia terra così bella e dannata, ma in questo tempo di grande incertezza dove Halloween avanza mentre il crocifisso viene tolto dalle scuole e il presepe diventa una tradizione superata, forse dovremmo imparare dai quartieri cosa vuol dire custodire le radici di un popolo.




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