
Sperare è dei santi
di don Silvio Longobardi
Dal Vangelo secondo Luca (Lc 15,1-10)
In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». Ed egli disse loro questa parabola: «Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, va a casa, chiama gli amici e i vicini, e dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta”. Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione. Oppure, quale donna, se ha dieci monete e ne perde una, non accende la lampada e spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova? E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, e dice: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduto”. Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte».
Il commento
“…non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca [poreúetai] di quella perduta, finché non la trova?” (15,4). La parabola offre l’immagine di un pastore coraggioso che cerca la pecorella perduta. In greco non troviamo il verbo cercare ma poreuomai, che significa semplicemente incamminarsi. Un verbo di uso quotidiano che compare tante volte nei Vangeli. Questo cercare non appartiene dunque alle opere straordinarie ma è lo stile che deve innervare la vita ordinaria della comunità ecclesiale. È quel cercare che nasce dall’amore. È interessante notare l’ostinazione, il pa-store non torna indietro fino a quando non la trova. Il racconto evangelico lancia l’idea che prima o poi la trova. La speranza che scaturisce dalla fede non si ferma dinanzi alle prime difficoltà, non viene meno neppure quando tutto sembra perduto o quando abbiamo l’impressione di aver fatto tutto il possibile. Una testimonianza significativa è quella di santa Zelia. Era molto afflitta a causa della figlia Leonia, non sapeva più cosa fare. Agli inizi del 1877, l’ultima anno della sua vita terrena, scrive alla cognata: “questa povera bambina è coperta di difetti come da un mantello. Non si sa come prenderla. Ma il buon Dio è così misericordioso che ho sempre sperato e spero ancora” (LF 185, 21 gennaio 1877). Quando abbiamo fatto tutto, resta ancora da pregare. Paradossalmente, proprio quando tutte le vie sono chiuse, proprio allora inizia la speranza cristiana che ripone in Dio ogni fiducia. Sperare in ultima analisi significa affidare a Dio la causa della vita, personale e collettiva: “Non stanchiamoci di fare il bene; se infatti non desistiamo, a suo tempo mieteremo” (Gal 6,9). Chi ama non si stanca, e anche se avverte la stanchezza non viene meno, e anche se viene meno è pronto a rialzarsi. È una grazia da chiedere. “Cominciare è di tutti, perseverare è dei santi”, diceva Josemaria Escrivà. Nella scia di queste parole, possiamo aggiungere: “amare è di tutti, sperare è dei santi”. Oggi invochiamo lo Spirito Santo, custode della speranza.
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