L’uomo di latta

L’uomo di latta e la nostalgia di quel cuore di carne

cuore

di Ida Giangrande

Avete mai visto o letto il Mago di Oz? Suppongo di sì. Molti i personaggi significativi ma uno in particolare mi è rimasto impresso: l’uomo di latta. Non si rassegna all’idea di non avere un cuore, di essere vuoto, soggetto alla ruggine. Quanto c’è della nostra umanità in questo personaggio fantastico?

Prima di ridursi in quello stato, era un ragazzo in carne ed ossa, figlio di un taglialegna che viveva nella foresta con il padre e la madre vendendo il legno ricavato dagli alberi. Quando i suoi genitori morirono decise di sposarsi con una ragazza proveniente dal paese dei Munchkins. Questa però accudiva una anziana signora molto pigra che, non volendo perdere colei che l’accudiva, chiese alla strega dell’Est di rendere indisposto lo spasimante della giovane che, a causa di tale maledizione, perse prima le due gambe e poi, man mano, tutto il corpo per colpa della sua stessa ascia. Grazie all’aiuto di un abile fabbro venne in seguito ricomposto e fu trasformato così in un taglialegna di latta. Non avendo un cuore il giovane perse l’amore per la fanciulla e un giorno, mentre si trovava nel bosco, venne colto da un improvviso temporale che arrugginì tutte le sue articolazioni, immobilizzandolo.

Avete capito di chi sto parlando? Ma dell’uomo di latta, uno dei personaggi principali del Mago di Oz, il celebre romanzo scritto da L. Frank Baum che ha visto una serie di versioni cinematografiche e teatrali e che ancora oggi è rimasto nell’immaginario fantastico di una intera generazione di uomini e donne. 

Quando Dorothy e il suo amico spaventapasseri in cerca di un cervello, lo trovano immobile con la sua ascia in mano, egli ha a stento qualche brandello di voce per chiedere di essere unto con dell’olio e recuperare così alcune capacità motorie. Dopo aver raccontato la sua storia, l’uomo di latta, disperato perché senza cuore, si unisce all’allegra comitiva che viaggia verso la città di smeraldo per incontrare il Mago di Oz. Ero solo una bambina quando vidi la storia del viaggio di Dorothy in televisione, ed ero affascinata dalle ambientazioni così simili ad un cartone animato. Ricordo bene ad esempio il campo di papaveri con gli alberi che svettano verso il cielo turchino, in lontananza la meravigliosa città di smeraldo. Anche le musiche, a sentirle ora mi riportano indietro di anni a quando mi costruivo il mio regno fantastico restando saldamente ancorata alla certezza della mia casa, della mia stanza in cui mi sentivo al sicuro. Ricordi dolcissimi di un’infanzia passata ma non del tutto perché in fondo una parte di noi resta sempre un po’ bambina e, di tanto in tanto, ha bisogno di tornare indietro per rifugiarsi in quel luogo sicuro dove gli spettri della vita non hanno accesso. 

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Ma torniamo all’uomo di latta, tutti i protagonisti di questa storia sono in cerca di una dote umana di spiccata rilevanza anche per noi che non abitiamo il mondo delle favole; lo spaventapasseri vuole un cervello, il leone desidera il coraggio, Dorothy vuole tornare a casa e l’uomo di latta cerca un cuore. Un cuore. Non semplicemente un organo fatto per pompare sangue e ossigenare il cervello, ma lo scrigno dell’anima, quello in cui vivono le emozioni, in cui risiede la vera identità di tutti e di ciascuno, esseri fatti per vivere in eterno. È di questo cuore che va in cerca l’uomo di latta e il suo sguardo malinconico osserva il passato glorioso dell’uomo che era stato, capace di innamorarsi, di vivere con passione l’incedere del tempo, consapevole di una creaturalità a cui è sottoposto non come suddito ma come figlio. Senza il cuore, di quell’uomo, non resta altro che ferro soggetto all’erosione del tempo, alla ruggine, all’immobilismo. Quanto c’è della umanità contemporanea, post-moderna e decostruzionista nell’uomo di latta?

 

Spesso quando sono in giro per strada oppure nella saletta d’attesa di un studio medico, costretta a fermarmi, mi capita di osservare lo sguardo delle persone che mi stanno intorno. Alcune volte e non sempre per grazia di Dio, scorgo la stessa nostalgia di quel personaggio fantastico del Mago Oz che sente il peso di un’assenza: quella dell’anima e desidera ritrovarsi, C’è una sola grande differenza: l’uomo di latta non si rassegna ad aver perso il suo cuore, ma lo cerca sfidando la sorte, il tempo, gli ostacoli. E lo cerca fuori da sé stesso come se volesse dirci che nessuno può contare esclusivamente su di sé, e che la nostra anima non proviene da noi, ma da Qualcun altro a cui tendere.




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1 risposta su “L’uomo di latta e la nostalgia di quel cuore di carne”

Molto profonde e sentite queste parole..In verità in giro ci sono molti uomini con il cuore di latta….Non si può essere ferro soggetto all’erosione del tempo …..ma la nostra anima deve essere tesa per qualcun ‘ altro!!!

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