
Qualcuno ci attende
di don Silvio Longobardi
Dal Vangelo secondo Luca (Lc 20,27-40)
In quel tempo, si avvicinarono a Gesù alcuni sadducèi – i quali dicono che non c’è risurrezione – e gli posero questa domanda: «Maestro, Mosè ci ha prescritto: “Se muore il fratello di qualcuno che ha moglie, ma è senza figli, suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello”. C’erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli. Allora la prese il secondo e poi il terzo e così tutti e sette morirono senza lasciare figli. Da ultimo morì anche la donna. La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie». Gesù rispose loro: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio. Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: “Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe”. Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui». Dissero allora alcuni scribi: «Maestro, hai parlato bene». E non osavano più rivolgergli alcuna domanda.
Il commento
“Si avvicinarono alcuni sadducei, i quali dicono che non c’è risurrezione” (20,27). Credono nel Dio di Abramo, sono scrupolosi osservanti della Legge mosaica ma sono anche convinti che la morte segna la conclusione di ogni speranza. I sadducei oggi hanno molti discepoli e non solo tra quelli che si dichiarano non credenti. Stando alle indagini socio-religiose, anche tra i cristiani una percentuale non marginale che dubita o rifiuta che Qualcuno ci attende. È un dato che non dovrebbe stupirci perché la fede ci permette di guardare oltre, se la fede s’indebolisce anche la speranza si affievolisce. E così l’avvenire appare molto più enigmatico. Gesù si oppone a viso aperto alla prospettiva tragica dei sadducei e consegna ai suoi discepoli una parola chiarissima che dobbiamo custodire con cura perché è uno degli elementi qualificanti della nostra fede. A quelli che dicono che “non c’è resurrezione”, Gesù ribadisce che i figli di Dio non possono più morire” (20,36). Siamo rivestiti di fragile carne ma abbiamo anche ricevuto il soffio della vita divina che dura per sempre. Tutto ciò che facciamo deperisce, i giorni della vita si consumano ma abbiamo anche la certezza che “siamo nati per non più morire”, come diceva Chiara Corbella. In ogni celebrazione eucaristica, a nome di tutti, il sacerdote rinnova questa fede: “Ricordati dei nostri fratelli, che si sono addormentati nella speranza della risurrezione e di tutti i defunti che si affidano alla tua clemenza: ammettili a godere la luce del tuo volto”. E subito dopo aggiunge: “Di noi tutti abbi misericordia: donaci di aver parte alla vita eterna”. Man mano che l’orizzonte dell’esistenza si restringe, la fede ci fa intravedere un futuro illuminato dalla presenza di Dio. Come ogni monaca, Teresa di Lisieux vive con il cuore già immerso nella beata eternità. Questa coscienza dona un valore ancora più grande alla vita terrena. Per questo scrive alla sorella: “Celina, durante i brevi istanti che ci restano, non perdiamo il nostro tempo: salviamo le anime, le anime!” (LT 94, 14 luglio 1889). Raccogliamo anche noi questo invito accorato e chiediamo la grazia di non sciupare il tempo donato da Dio.
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