Erika e Omar

Vi ricordate di Erika e Omar? La loro agghiacciante vicenda ha qualcosa di buono da dirci?

germoglio

di Michela Giordano

Alcuni casi di cronaca restano impressi nella collettività come un marchio di fuoco. Diciotto anni fa a Novi Ligure, una coppietta di fidanzatini, appena adolescenti, massacrò la madre e il fratellino di lei. Erano “Erika e Omar” oggi sono un uomo e una donna diversi che, tuttavia. consegnano alla storia un modello di speranza: Francesco De Nardo.

Alcuni nomi travalicano la naturale funzione di identificazione di un soggetto e diventano indicazione di un fenomeno, di un’epoca, di una corrente di pensiero. Michelangelo è il padre de “Il giudizio universale” e non c’è bisogno di aggiungere “Buonarroti” per capire di chi stiamo parlando; Coppi e Bartali restano il simbolo del ciclismo eroico post-bellico, anche se non sai che si chiamavano Fausto e Gino. Mina è la più grande interprete della storia musicale italiana e lo sarebbe stata pure con il suo nome di battesimo, Anna Maria Mazzini, che gran parte del pubblico ignora. 

Capita, a volte, che anche un fatto di cronaca nera possa segnare un’epoca: da Adamo ed Eva, con il furto del pomo dal giardino dell’Eden, è accaduto tante volte che la storia sia passata da un divieto aggirato, un delirio consumato, un diritto calpestato. 18 anni fa, l’Italia si raggelò per i resoconti giornalistici provenienti da Novi Ligure, provincia di Alessandria: una 16enne e il suo fidanzato, di appena un anno più grande, ammazzarono, con una furia di coltellate, la madre e il fratellino 11enne di lei, tentando di addossare la responsabilità ad una fantomatica banda di extracomunitari irrotta in casa a scopo di rapina. 

In pochi giorni gli accertamenti dei carabinieri smontarono il castello di bugie: nessun uomo nero estraneo. Il duplice delitto era stato compiuto dai due fidanzatini, i quali, sotto l’effetto di droga e nel pieno di un delirio di compulsione sessuale, ritennero di superare, nel sangue, l’opposizione familiare a quell’indomabile desiderio di esser l’una esclusiva proprietà dell’altro. Diventano “Erika e Omar”. Si eternano come “Erika e Omar” e resteranno “Erika e Omar” per sempre, senza bisogno di cognome, anche se non stanno più insieme, se sono usciti dal carcere e si sono inventati una nuova vita. Lui ha 35 anni, lavora come barista e ha un figlio. Di lei i giornali sono tornati a parlare, in queste settimane, perché, da poco, si è sposata. Nel carcere minorile in cui ha scontato la sua pena, è riuscita anche a conseguire la laurea 110 e lode, in Lettere moderne, con una tesi su ‘Socrate e la ricerca della verità negli scritti platonici’.

Una storia che, all’epoca, mi sconvolse. Più di tutto mi colpì il racconto, appena accennato dai rotocalchi, della scelta di Francesco De Nardo, marito e padre degli assassinati, di restare accanto all’assassina, pure lei sangue del suo sangue, la figlia maggiore, Erika. Nel riserbo che lo ha sempre accompagnato, un dettaglio è trapelato ed è carico di significato. In una delle prime visite in carcere, avrebbe detto a sua figlia, abbracciandola: “Mi sei rimasta soltanto tu”. Che coraggio, quanto amore, che grande uomo. Mai un’intervista, profumatamente pagata, alla tv del dolore. Mai parole di odio. Francesco De Nardo è un uomo da ammirare, da sostenere, da abbracciare. Restare accanto alla figlia assassina della propria madre, alla quale è sempre più uguale, nelle fattezze fisiche: stessi occhi, stesso sorriso, identica espressione del viso. Guardarla e non provare orrore, odio, paura. Non so se, tra 50 anni, ci ricorderemo ancora di “Erika e Omar”. Credo che dovremmo conservare memoria di lui, Francesco De Nardo.




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