Battesimo del Signore – Anno A – 12 gennaio 2020

Diventare cultori dell’umiltà

vacanza famiglia

(Foto: © Valery Mishakov - Fotolia.com)

Se imparassimo a considerarci servi della felicità degli altri, collaboratori dell’unico progetto di gioia che la famiglia è chiamata a realizzare secondo Dio. È necessario, per fare questo, mutare le nostre categorie, perché, diversamente da quello che si crede, l’umiltà non è la virtù che abita nel cuore dei deboli, ma la qualità interiore che brilla nelle anime forti, in coloro che non hanno paura della verità di Dio e di se stessi.

Dal Vangelo secondo Matteo (3,13-17)

In quel tempo, Gesù dalla Galilea venne al Giordano da Giovanni, per farsi battezzare da lui.
Giovanni però voleva impedirglielo, dicendo: «Sono io che ho bisogno di essere battezzato da te, e tu vieni da me?». Ma Gesù gli rispose: «Lascia fare per ora, perché conviene che adempiamo ogni giustizia». Allora egli lo lasciò fare.
Appena battezzato, Gesù uscì dall’acqua: ed ecco, si aprirono per lui i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio discendere come una colomba e venire sopra di lui. Ed ecco una voce dal cielo che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento».

 

L’ultima tappa del Tempo di Natale è dedicata alla celebrazione del Battesimo del Signore. L’immersione del Cristo nelle acque del Giordano, con l’adorazione dei Magi (cf. Mt 2,1-12) e le nozze di Cana (cf. Gv 2,1-11), è uno dei misteri della vita terrena del Salvatore nei quali Dio rivela, nella nostra carne, la sua divinità ed il desiderio di essere in tutto solidale con l’umanità. Se questo Tempo ci ha portato a contemplare il Verbo fatto uomo, attraverso i primi momenti della sua vita terrena, trasmessici dai Vangeli dell’infanzia (Matteo e Luca), la celebrazione odierna polarizza la nostra attenzione sull’inizio del ministero pubblico di Gesù che, trentenne, riceve il battesimo per mano di Giovanni. In tal modo la liturgia ci prepara al lungo cammino del Tempo Ordinario nel quale – già dalla prossima domenica – saremo invitati ad ascoltare la voce del Maestro, a seguire le sue orme e a prestare, dietro Lui e con Lui, la nostra obbedienza alla volontà del Padre, fonte di autentica gioia.
Ci è data oggi un’occasione propizia per ripensare al nostro battesimo – quali frutti ha prodotto in me la grazia della figliolanza? – e per chiederci, come genitori, in che modo aiutiamo i nostri figli a conservare il profumo dell’unzione spirituale con la quale lo Spirito li ha segnati?

Senza umiltà non si cammina con Dio e non lo si incontra

La narrazione evangelica odierna è ambientata presso il fiume Giordano, nella parte meridionale della Palestina. Qui il Precursore predica la conversione, vive ciò che annuncia con l’essenzialità della vita, accoglie le folle e battezza. Tutto questo però è nella prospettiva dell’attesa di Colui che battezzerà “in Spirito Santo e fuoco” (Mt 3,11), perché Giovanni sa che il suo battesimo è un rito per la conversione personale, una preparazione imminente alla venuta del Messia, ma nulla di più. Ecco perché – sembra dire il Precursore – chi si ferma all’acqua del Giordano e non accoglie il regno di Dio che è Gesù, rimane alla porta perché “è lo Spirito che dona la vita” (Gv 6,63) e sorgente della vita nuova è solo l’umanità santa del Signore Gesù Cristo. In tale contesto di attesa che fa aumentare il patos – anche la narrazione evangelica come ogni opera letteraria gioca sulla partecipazione emotiva del lettore – Matteo presenta per la prima volta Gesù. Si ha così una sorta di passaggio di testimone tra il Precursore ed il Signore. Dalla figura alla verità, dalla parola affidata alla solitudine del deserto al Verbo che resta in eterno, dalla promessa al compimento: così potremo intitolare questo passaggio nevralgico della storia della salvezza. Giunge l’Atteso, ma con prerogative diametralmente opposte a quelle che gli si applicava. Il Battezzatore mostra proprio la destabilizzazione dell’uomo dinanzi a Dio che si rivela e che realizza la sua parola venendo, ma secondo modalità che suonano incomprensibili per l’uomo. La conversione richiesta dal Battezzatore alle folle è il primo dato da attuare nell’incontro con Gesù, altrimenti non si può comprendere la potenza della sua missione e la grazia della sua consacrazione. Da questo comprendiamo che il Precursore, anche se ci è stato presentato dall’Evangelista come il paladino della coerenza tra predicazione e vita di austerità ed essenzialità, deve ancora camminare con il cuore per accogliere il Signore, deve spogliarsi di tante visioni ed idee che, pur se logicamente ineccepibili, per Dio sono ragionamenti umani che non tengono né prevalgono dinanzi alla Sua logica che ha come suo unico fine salvare ogni uomo.
Da un punto di vista letterario il brano è un capolavoro di tecnica narrativa. Matteo, al v. 13 anticipa al lettore la volontà di Gesù – “venne dalla Galilea al Giordano da Giovanni, per farsi battezzare” – mostrando che il Battezzatore non solo non ne è ancora a conoscenza, ma lasciando intuire la conversione che gli verrà richiesta. Infatti “Giovanni voleva impedirglielo, dicendo: «Sono io che ho bisogno di essere battezzato da te e tu vieni da me?» (Mt 3,14). L’umiltà che risplende in Giovanni è la capacità di leggere con realismo la propria vita senza nascondersi, senza farsi scudo di parole dette o di privilegi acquisiti, comparendo dinanzi a Dio con le mani vuote di chi sa che non ci sono meriti da accampare, né diritti da vantare. La folla lo crede un profeta, ma egli, il figlio di Zaccaria ed Elisabetta, sa bene che Dio non si compra con le proprie azioni per quante giuste siano perché il bene che si compie non è la condizione per ottenere la salvezza, ma il segno che si vive di Dio, si cammina alla sua presenza, si cerca il suo volto e si è ricchi della fedeltà della sua promessa per noi. Giovanni, consumato nella vita di penitenza, bruciato dal sole del deserto, abitato nelle profondità del suo essere dalla parola che lo rende voce tuonante, sente e sa di aver bisogno di Gesù. È questo uno dei tratti più belli del Battista che spesso sfugge, il sentirsi bisognoso di Dio, della sua mano che risolleva il povero e, aperta, nutre il misero, il suo avvertire Dio come necessario per la sua vita, essenziale per il suo esistere. Giovanni manifesta di essere mendicante dell’aiuto del Dio dei padri e non ha vergogna di dirlo con determinazione perché la verità non deve mai far paura. Il suo è lo stupore di Davide che sentì per bocca di Natan una promessa di gran lunga superiore alle sue attese (cf. 1Sam 16), è la meraviglia mista a cauta e rispettosa ribellione che prenderà Pietro, nel cenacolo, dinanzi al gesto inusuale del Maestro che, cinto di un asciugatoio si rende servo (cf. Gv 13,6ss). Rude nel tratto, burbero nella parola, Giovanni è delicatissimo nel rivolgersi al Messia perché non vuole ripetere l’oltraggio dei progenitori nel giardino dell’Eden e appropriarsi di ciò che appartiene a Dio e a Lui solo spetta. Stupore, meraviglia, fremito di umiltà, ribellione riverente sono i molteplici sentimenti che nell’animo del figlio di Zaccaria riscontriamo. Gesù stravolge il modo di rivolgersi a Dio e il relazionarsi di Dio all’uomo, di guardarlo, di parlargli. Giovanni, sulle prime, non comprende, ma poi lascia che il Signore gli insegni la via del vero e del giusto, del bene e dell’opportuno, che gli mostri la via di Dio. Egli, guida per una folla che accorre da ogni parte, si piega dinanzi a Colui che solo ha parole di vita eterna ed è il Signore ed il Maestro.
Se fossimo anche noi cultori dell’umiltà! Se imparassimo a considerarci servi della felicità degli altri, collaboratori dell’unico progetto di gioia che la famiglia è chiamata a realizzare secondo Dio. È necessario, per fare questo, mutare le nostre categorie, perché, diversamente da quello che si crede, l’umiltà non è la virtù che abita nel cuore dei deboli, ma la qualità interiore che brilla nelle anime forti, in coloro che non hanno paura della verità di Dio e di se stessi, che si lasciano portare dal vento dello Spirito, l’unico capace di aprire strade nuove solo per chi si lascia sradicare dalle proprie false sicurezze. Senza l’umiltà – il sostantivo deriva da humus terra, l’umile è colui che si riconosce creatura plasmata da Dio e continuamente capace di essere rimodellata – le famiglie si disgregano e non si riesce a costruire nulla, ciascuno persegue la propria idea, senza trovare punti di accordo. L’umiltà, dono dello Spirito, conduce lo sposo ad ascoltare la sua sposa senza considerare inutile la parola che gli viene donata, ma anzi offrendo la sua con la volontà di far divenire le proprie parole, pur se talvolta discordanti, pietre che costruiscono la casa comune, mai muraglie di divisione e di disprezzo perché l’altro la pensa diversamente. Attraverso l’umiltà io scelgo di farmi plasmare dalle relazioni della vita familiare, plasmo e mi lascio lavorare nel cuore e nella mente, nei pensieri e nei sentimenti, perché nessuno è mai arrivato – anche questo è umiltà, non considerarsi mai arrivato! – sulla strada dell’amore. L’umiltà è verità. Se dico di non essere infallibile, che posso cadere nell’infedeltà, sbagliare a parlare sotto l’impulso dell’ira o della permalosità, confesso solo la verità di me stesso e mi offro all’altro/a senza maschere, in umiltà appunto, con quella creaturalità che è l’elemento costitutivo del mio essere. Ma sempre l’umiltà mi abilita a sognare con Dio, a collaborare con Lui che rinnova la mia giovinezza, che riveste di luce gioiosa i miei giorni. Più viviamo nell’umiltà e più il Signore ci usa perché “Egli resiste ai superbi, ma fa grazia agli umili” (1Pt 5,5).

Il dono del discernimento

La scena del battesimo del Signore è il segno della solidarietà massima di Gesù con l’umanità, ma il dialogo che lo precede e di cui solo Matteo è testimone per noi, mostra la scelta che ciascuno deve attuare nel permettere a Dio di divenire solidale con lui. A nulla serve una solidarietà che non è accolta, amata, cercata, gustata e di cui si fa tesoro. Il Nazareno accompagna Giovanni in questo non semplice cammino, aprendogli, gradualmente, la volontà del Padre. Difatti, la sua risposta – “Lascia fare per ora, perché conviene che adempiamo ogni giustizia”, Mt 3,15 – non è il rimprovero di chi vuol imporre il proprio punto di vista, ma l’invito di chi annuncia i tempi nuovi della vicinanza di Dio, chiedendo all’uomo di entrare nella giustizia di Dio, nel suo progetto di amore, di vivere non più da servi ma da figli che non temono, ma conoscono ed amano il cuore del Padre. “Lascia per ora” dice Gesù al Precursore. La vita spirituale inizia dalla capacità di lasciare e di lasciarsi nelle mani di un Altro – non è forse anche questo il segreto della vita insieme, espressa nella promessa nuziale? – di andar via dalla propria casa, come capitò ad Abramo, perché nulla deve anteporsi a Dio e alla realizzazione della sua promessa. Lasciare e lasciarsi è la cosa più difficile, perché è sempre forte la tentazione di serbare per sé qualcosa, nella paura dell’incertezza del domani, proprio come capitava al popolo d’Israele nella traversata del deserto, quando conservava della manna per il giorno successivo e la si trovava guasta. Lasciare e lasciarsi è segno di fede, di autentica speranza, di abbandono in Dio. Senza questo passo, infatti, – altrove nei Vangeli si parlerà di rinnegamento che è il lasciare se stessi o anche del distacco dai propri affetti o dai beni, sfaccettature di un medesimo mistero di radicalità e di risposta nella sequela di Gesù – senza lasciare e lasciarsi in Dio non si procede nel cammino, come nella vita insieme non si costruisce il noi senza che ciascuno lasci se stesso e dimentichi la casa di suo padre.
In secondo luogo, Matteo aggiunge un avverbio “Lascia ora”. Il regno di Dio non ammette lentezze e come non si può andare a salutare il padre o la madre, seppellire i parenti, vedere un campo o provare dei buoi prima di seguire Gesù, così nulla deve essere anteposto a Dio e al desiderio di adempiere la sua volontà. Non bisogna rimandare al domani passi significativi che vanno fatti oggi con determinazione ed impegno, né si può far finta che la parola del Signore non sia incisiva e tagliente e che chiami a conversione. Ma questo con la consapevolezza che nel mio ora c’è Gesù a sostenere la mia lotta e a motivare il mio lasciarmi – che è poi spesso un lanciarmi – nelle mani provvidenti del Padre. È necessario ricercare il conveniente e l’opportuno, il bene e il santo, ma secondo Dio e non secondo ciò che piace a noi uomini. Tutto questo è indicato con il termine giustizia. È come se Gesù mettesse dinanzi a Giovanni la volontà del Padre, come se gli stesse chiedendo di lasciarsi conquistare da quella decisione che lo sovrasta e che supera la sua capacità umana di comprendere, è come se il Figlio di Maria donasse al figlio della parente Elisabetta, la via della gioia, quella che sta attendendo da sempre, unitamente al popolo d’Israele, come se gli stesse offrendo il frutto maturo del suo discernimento. Sì, Gesù aiuta Giovanni a discernere la giustizia di Dio e lo guida ad attuarla. In tal modo la pagina del battesimo diviene programmatica perché ciò che Gesù compie con Giovanni sarà chiamato a proporlo con ogni suo discepolo. La via che Cristo dona al Precursore è il frutto del suo assimilare la parola di Dio, in particolar modo i canti del servo Sofferente – il primo dei quattro è utilizzato come prima Lettura odierna (cf. Is 42,1-4.6-7) – e si mostra come strada esigente che sposa completamente la vicenda umana, eccetto il peccato che non ne è parte dell’umanità. Il Battezzatore deve fidarsi, pur senza capire, della giustizia di Dio, deve lasciarsi persuadere che il desiderio di Dio è quello di inabissarsi nelle profondità del peccato degli uomini per risollevare la sua creatura e far riapparire in lei la bellezza originale smarrita per la colpa. Il dato più significativo è che Gesù fa questo non imponendo dall’esterno un verdetto che non lo scalfisce, ma con la delicatezza del noi. Ed è qui la solidarietà vera del Cristo, per alcuni aspetti non solo che precede quella del battesimo, ma che la plasma interiormente. In Gesù c’è la volontà di vivere la gioia del noi, di condividere con gli uomini l’avventura della vita umana che Egli ha fatto propria. Gesù non media una parola che non passa attraverso la sua carne, condivide con Giovanni e con ogni uomo la sottomissione alla volontà del Padre e sa di non esserne escluso, anzi Egli si è fatto uomo per insegnare a portare il giogo del Padre e a consideralo leggero perché recato in comunione con Dio. Il Battezzatore non è solo davanti alla volontà del Padre, ma è chiamato ad imitare Gesù, rimettendo al Padre la sua causa, proprio come il Figlio di Maria gli sta indicando. Gesù non dice “Tu devi adempiere”, ma “conviene che [noi] adempiamo ogni giustizia” (Mt 3,15). In questo modo, Giovanni sperimenta di non essere solo nel cammino, che Gesù non solo gli è accanto, ma deve imparare dal suo gesto di sottomissione e di obbedienza alla volontà del Padre. Così le barriere che il Precursore voleva rispettare crollano, perché deve comprendere che l’ingresso di Dio nella storia va ben al di là delle umane attese, la solidarietà di Dio è disarmante ed è questo il modello della vita di accoglienza e di carità che deve scandire l’esistenza del discepolo di Colui che non ha paura di farsi da Dio uomo e da uomo schiavo pur di donare salvezza e vita senza fine alla sua creatura.

Nella totale compiacenza del Padre

Giovanni il Battista, conquistato dalla parola di Gesù, dalla sua solidarietà, dall’esperienza del non sapersi solo, si piega al gioco della giustizia di Dio, abbandona la legge e sceglie lo Spirito. La scena del battesimo in Matteo, come negli altri Sinottici, è scarna, appena due versetti, ma ricchi di immagini, richiami all’Antico Testamento e alla via di rivelazione scelta da Dio. Gesù si immerge nell’acqua, anche se non ha nulla da confessare, e “appena battezzato” scrive Matteo (v. 16) uscì dall’acqua e i cieli si aprono, segno della definitiva rivelazione di Dio nella storia di Gesù di Nazaret. Mentre lo Spirito discende sopra di Lui come una colomba, il Padre pronuncia sul Figlio l’atto del suo amore, la conferma della sua compiacenza, l’assicurazione della sua assistenza. Il Figlio di Dio è già stato concepito “per opera dello Spirito Santo” (Lc 1,35) nel grembo di Maria. Egli ora è unto per la sua missione, è quanto apprendiamo dal brano degli Atti degli Apostoli, che leggiamo oggi come seconda Lettura “Voi sapete […] come Dio consacrò in Spirito Santo e potenza Gesù di Nazaret, il quale passò beneficando e risanando tutti coloro che erano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con lui” (At 10,37b-38). In Gesù agisce lo Spirito Santo, Egli è sotto l’azione dello Spirito, in Lui parla ed agisce, in obbedienza al Padre opera con potenza. E proprio il Padre si compiace di Lui e lo dichiara Figlio suo nel gesto della sua umiliazione, nella solidarietà con i peccatori, nell’itinerario di abbassamento progressiva che Egli sta vivendo nella carne assunta nel grembo di Maria.
Se riuscissimo anche noi a ricordarci che siamo stati unti con l’Olio di letizia dello Spirito Santo! Se mettessimo più impegno nel seguire Gesù con la consapevolezza di Giovanni nel lasciarlo operare in noi, nel mettere a frutto lo Spirito che Egli ci ha dato. È questa la giustizia da ricercare, il noi da costruire, la gara da attuare in famiglia! Riprendiamo tra le mani le foto dei battesimi dei nostri figli e con loro – meglio se prima lo facciamo come coppia – scrutiamo i disegni di Dio e preghiamo ricordando quel giorno. Chissà in qualche cassetto dovrebbe ancora esserci qualche ricordo del battesimo, la veste bianca o anche un pezzo di candela … basta frugare. Ma è nel cuore che dobbiamo scavare per ri-accogliere lo Spirito di Gesù che nel battesimo ha messo in noi il suo tempio e ci vuole tra gli uomini costruttori del suo regno, testimoni della potenza del suo amore.

SCOPRI TUTTI I LIBRI DI FRA VINCENZO IPPOLITO QUI!




Aiutaci a continuare la nostra missione: contagiare la famiglia della buona notizia

Cari lettori di Punto Famiglia,
stiamo vivendo un tempo di prova e di preoccupazione riguardo il presente e il futuro. Questo virus è entrato prepotentemente nella nostra quotidianità e ci ha obbligati a rivedere i tempi del lavoro, delle amicizie, delle Celebrazioni. Insomma, ha rivoluzionato tutta la nostra vita e non sappiamo fin dove ci porterà e per quanto tempo. Ci fidiamo delle indicazioni che provengono dal Governo e dagli organi sanitari preposti ma nello stesso tempo manifestiamo con la nostra fede che “il Signore ci guiderà sempre” (cfr Is 58,11).

CONTINUA A LEGGERE



ANNUNCIO

ANNUNCIO

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Per commentare bisogna accettare l'informativa sulla privacy.