Vita

“Lei è l’amore mio”

medico e paziente

di Filomena Civale, medico

Mi hanno detto di non guardare negli occhi i miei pazienti così non possono farmi domande. Ma sono proprio i loro occhi che danno senso al mio lavoro. Non voglio essere solo un medico, voglio portarli con me, ogni giorno davanti a Gesù.

Una nuova giornata inizia e vado a lavoro con il desiderio di imparare ma anche con il timore di chi sa di trovarsi alle prime armi. Al mattino, seduta di 6 ore di interventi di Urologia, una volta finita, nell’attesa che inizi quella di Ortopedia, scendo in Rianimazione. “Qualche paziente ha bisogno di un’emogasanalisi?”, chiedo alla strutturata di turno. “Sì guarda, c’è la signora al primo letto, ha un’ipernatriemia e ho bisogno di controllare i parametri”.

Subito mi ci fiondo, sperando di farlo al primo colpo, ma dopo il terzo tentativo alzo bandiera bianca. Finalmente mi fermo a guardare il suo viso. È una donna sulla settantina, ha il volto quasi completamente viola, con l’aspetto di chi ha subito un importante trauma e, certamente, appare in pessime condizioni, di quelle che non danno speranza. Prendo la cartella clinica per leggere il suo nome: Maddalena. Conoscere il nome mi aiuta ad entrare nella vita dei pazienti che ogni giorno incontro e, soprattutto quando sono pazienti della Rianimazione, fa sì che entrino nel mio cuore.

Salgo su per gli interventi di Ortopedia, il primo si chiama Giuseppe e deve essere operato per una frattura alla caviglia. Si corre e si va per preparare tutto l’occorrente per l’intervento, ma all’improvviso mi accorgo che il paziente sta dicendo qualcosa, in attesa che qualcuno lo ascolti. “Mia moglie, mia moglie” ripete.

“Sua moglie la sta aspettando fuori? Vuole dirle qualcosa?”. Mi avvicino provando ad essere di aiuto, ma subito una lacrima comincia a percorrere il suo viso: “No, lo so io dove sta, sta giù”.

Giù, al piano terra, c’è la Rianimazione. Un brivido attraversa tutto il mio corpo. “Come si chiama sua moglie?”. “Maddalena – mi risponde – si chiama Maddalena”.

Gli prendo la mano provando a comunicare quella compassione che le parole non sono in grado di esprimere. “Sono stata con lei poco fa, i medici se ne stanno prendendo cura e… Prego per lei.” A queste parole il volto dell’uomo si illumina, e aggiunge: “Lei è l’amore mio”.

La mia collega si avvicina: “Il segreto è non guardarli mai negli occhi, così non possono farti domande e tu non sei costretta rispondere”, mi dice. Ma sono proprio quegli occhi il motivo per cui al mattino mi alzo, quegli occhi che mi permettono di dare un senso alle 12 ore di lavoro quotidiane, quegli occhi che ti ricordano perché hai scelto questa strada.

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Sono gli occhi di Gesù Cristo, che ti trasmettono un profondo senso di impotenza, perché in fondo al tuo cuore sai che puoi studiare da mille libri, perfezionare la tecnica, rispettare tutti i protocolli, ma non puoi controllare tutto e al contrario di ogni forma di ragionevolezza, arriva un momento in cui la cosa più utile che puoi fare per qualcuno è metterti in ginocchio e pregare.

E così le dodici ore di lavoro diventano tredici con la celebrazione mattutina, i tuoi pazienti sono lì con te ai piedi dell’altare, quelli incontrati e quelli che incontrerai. C’è con te Giuseppe insieme alla moglie Maddalena. È in Rianimazione perché è caduta dall’albero del loro giardino, riportando un politrauma. Uno di quegli incidenti “assurdi”, di quelle cose che pensi che non accadano mai a te. Quando il marito l’ha vista, ha cominciato a correre per chiedere aiuto e nel farlo si è fratturato la caviglia destra. 

Maddalena è volata in Cielo dopo 15 giorni di Rianimazione, durante la notte. Quando al mattino sono andata a lavoro e il suo letto era vuoto, ho pensato a Giuseppe e ho pensato al dolore che ha accompagnato questa notizia.

Per chi lavora in Rianimazione, Maddalena può essere una paziente tra le tante, e anche chi ha il cuore più tenero dopo molto tempo può abituarsi a questa triste conclusione. Per Giuseppe, Maddalena non era una tra tanti, ma l’“Amore suo”, vale a dire “Tutta la sua vita”.

Provo a immaginare tutti i ricordi che hanno attraversato la sua mente negli ultimi giorni: il primo incontro, il fidanzamento, il matrimonio, i figli, la vecchiaia insieme, i litigi, le incomprensioni. “Lei è l’Amore mio” mi aveva detto e grazie a quelle parole capisco che quello che conta non è terminare i giorni su questa terra senza troppi problemi, ma farlo con la certezza che quelli trascorsi sono stati impregnati d’amore. Questo mi hanno insegnato Giuseppe e Maddalena e questo desidero fare ogni giorno della mia vita.




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