Scuola

di Piero Del Bene

Resilienza vuol dire imparare a piegarsi senza spezzarsi. Sì, ma come?

23 Gennaio 2020

foglia

Dalla cattedra i nostri giovani sembrano, spesso, figli dell’insicurezza, bisognosi di protezione, con nuove patologie dell’animo, incapaci di gestire le emozioni. Cosa fare? Una risposta ci arriva dalla Comunità europea che ci parla di “resilienza”.

La preparazione al Santo Natale della piccola comunità nella quale vivo è stata funestata dalla terribile notizia del suicidio di una giovane soldatessa che all’apparenza non aveva alcun motivo per compiere un così grave gesto. Lo sgomento ha avuto il merito di aprire gli occhi degli adulti su una piaga che in maniera sotterranea sta penetrando nel vissuto dei nostri giovani. Me ne parlò qualche anno fa una mia insegnante di liceo, la quale, incontrandomi, mi disse: “Voi eravate studenti. Questi di adesso sono così fragili!”. Non prestai molta attenzione alla sua valutazione, la considerai alla stregua di una considerazione di un insegnante prossimo alla pensione che rimpiange i tempi della sua gioventù.

Non era, evidentemente, così: sembra effettivamente che i ragazzi di oggi siano molto fragili. Come ha fatto notare Mariella Spinosi, i nostri giovani sembrano figli dell’insicurezza, bisognosi di protezione, immersi nei riti del consumismo, spesso tristi con nuove patologie dell’animo, incapaci di usare un lessico adeguato, incapaci di gestire emozioni. Si è arrivati persino a definirli i “nuovi barbari della comunicazione”. La Scuola ed il mondo degli adulti fanno fatica a stare appresso a questo cambiamento. Si deve gestire una crisi epocale, come ha ricordato anche papa Francesco, ultimamente. Sono cambiate le modalità di produzione, trasmissione, diffusione della conoscenza. Sono cambiati i modelli di apprendimento. Sono cambiate le “aspettative” verso l’istruzione sia nelle famiglie che nei ragazzi: essere studenti è percepita come una condizione “banale” mentre fino a qualche anno fa era un privilegio riservato a quei pochissimi che vivevano in condizioni sociali ed economiche adatte. È in crisi il principio di autorità. Non ci sono più le figure di riferimento e se ci sono non vengono riconosciute dai più. Le parole dei genitori e dei maestri sembrano non produrre più effetti.

Leggi anche: “Ho preso un brutto voto! E ora? Chi lo dice a mamma e a papà?” 

Assumono un valore diverso, più denso e pregnante, allora, certe parole che sembrano comparire all’improvviso e magari, frettolosamente, vengono bollate come figlie di mode passeggere, ma, in realtà tali non sono. È il caso della parola resilienza sempre più invocata dagli educatori perché sempre meno presente nell’orizzonte dei nostri giovani. Dalla cattedra è ogni anno più evidente come questa qualità sia da ricercare e da perseguire, come docenti ma anche come genitori. La Comunità europea, non raramente tacciata di lontananza dalle esigenze dei popoli, dimostra in questo caso di essere più vicino di quanto si creda alle esigenze della formazione dei suoi cittadini di domani. Certamente lo fa guidata da motivazioni non completamente comprensibili e condivisibili, ma è un fatto che lo faccia. Forse non tutti sanno, infatti, che, già nel 2006, fu redatto un Documento che definiva le competenze base che deve possedere un cittadino comunitario. Secondo tale Documento, il cittadino europeo deve sapersi esprimere nella sua lingua madre ed in una seconda lingua comunitaria, deve avere una competenza di base in matematica, in scienza e tecnologia, una competenza digitale. Deve imparare ad imparare, avere competenze sociali e civiche, spirito di iniziativa e imprenditorialità, possedere una consapevolezza ed espressione culturale. Non poco. Non tutto nuovo, si disse all’epoca. Non mancarono i colleghi che ribadirono che “queste cose già le facciamo!”. Non era così e, ahimè, non lo è ancora. Ma i tempi non si fermano ad aspettare che ci convinciamo: procedono secondo strade che ci colgono quali spettatori.

Può succedere che spesso stiamo seduti sulla sponda del fiume a contestare la corrente che passa. E intanto passa. Al punto che nel maggio del 2018, il Documento è stato aggiornato, (Raccomandazione del Consiglio del 22 maggio 2018 relativa alle competenze chiave per l’apprendimento permanente). Ogni cittadino europeo, si legge, deve avere “le competenze necessarie per la realizzazione personale, la salute, l’occupabilità e l’inclusione sociale e contribuisca a rafforzare la resilienza dell’Europa in un’epoca di cambiamenti rapidi e profondi”. L’Europa non si muove per filantropia, ma perché essa stessa sia più resiliente e perché “le competenze imprenditoriali, sociali e civiche diventano più importanti per assicurare resilienza e capacità di adattarsi ai cambiamenti”. Nel Documento s’invoca la capacità di riflettere su sé stessi, di gestire efficacemente il tempo e le informazioni, di lavorare con gli altri in maniera costruttiva, di mantenersi resilienti e di gestire il proprio apprendimento e la propria carriera… di far fronte all’incertezza e alla complessità, di imparare a imparare, di favorire il proprio benessere fisico ed emotivo, nonché di essere in grado di condurre una vita attenta alla salute e orientata al futuro, di empatizzare e di gestire il conflitto in un contesto favorevole e inclusivo”. Più avanti viene detto che: “Le persone dovrebbero essere resilienti e capaci di gestire l’incertezza e lo stress. (…) di automotivarsi”.

Il lettore più attento avrà colto l’insistenza sulla resilienza, parola sulla quale è il caso di soffermarsi un poco. Essa nasce nell’ambito della scienza dei materiali e indica la proprietà che hanno alcuni elementi di conservare la propria struttura o di riacquistare la forma originaria dopo essere stati sottoposti a schiacciamento o deformazione. In biologia esprime la capacità che ha un sistema di ritornare a uno stato di equilibrio in seguito ad un evento perturbante. È, in altri termini, la capacità di autoripararsi dopo un danno, di far fronte, resistere, ma anche costruire e riuscire a riorganizzare positivamente la propria vita nonostante situazioni difficili che fanno pensare a un esito negativo. Non è che la persona non si senta in difficoltà, ma la sua resilienza implica comportamenti, pensieri ed atteggiamenti. È una capacità che può essere appresa e che riguarda prima di tutto la qualità degli ambienti di vita, in particolare i contesti educativi, qualora sappiano promuovere l’acquisizione di comportamenti resilienti.

Noi adulti che possiamo fare per favorire una maggiore resilienza nei nostri giovani? In rete si trovano molti consigli, non tutti provati o scientifici. Mi sento di proporne tre. Se essere resilienti vuol dire essere flessibili, può essere utile far allenare la mente ad accettare modi di pensare e agire diversi dai propri. Spesso ai genitori che si lamentano dei numerosi cambiamenti di docenti, rispondo che forse questo è un punto a favore della crescita dei loro figli. Non sempre, tuttavia, vengo compreso. Il secondo consiglio potrebbe essere: impariamo a lasciar andare ciò che non possiamo controllare. Un esempio vale molto più di tante parole: pensiamo a quanti genitori cercano di imporre ai figli decisioni fondamentali come il percorso di studi o del lavoro solo per mantenere il controllo delle loro vite, anche se con intenti protettivi. La vita, tuttavia, non segue le nostre istruzioni e non possiamo mantenere ogni elemento sotto controllo. Evangelicamente, direi: fidiamoci del Padre. “Guardate i gigli dei campi, essi non filano e non cuciono. Eppure…”

L’ultima cosa che mi sento di consigliare consiste nel coltivare la bellezza delle cose che accadono nella nostra vita: ammirare un paesaggio, andare ad una mostra d’arte, disegnare, fare giardinaggio, avere cura di sé, passeggiare. Tutto ciò può tornare utile nei momenti di difficoltà. Possono sembrare piccolezze di poco conto, eppure sono proprio le piccole cose a fare la differenza quando tutto sembra girare storto. Applicando questi piccoli accorgimenti si potrà riuscire, col tempo, a maturare la flessibilità mentale necessaria per sviluppare la capacità di resistenza, trovare nei nostri errori degli insegnamenti positivi.




Aiutaci a continuare la nostra missione: contagiare la famiglia della buona notizia

Cari lettori di Punto Famiglia,
stiamo vivendo un tempo di prova e di preoccupazione riguardo il presente e il futuro. Questo virus è entrato prepotentemente nella nostra quotidianità e ci ha obbligati a rivedere i tempi del lavoro, delle amicizie, delle Celebrazioni. Insomma, ha rivoluzionato tutta la nostra vita e non sappiamo fin dove ci porterà e per quanto tempo. Ci fidiamo delle indicazioni che provengono dal Governo e dagli organi sanitari preposti ma nello stesso tempo manifestiamo con la nostra fede che “il Signore ci guiderà sempre” (cfr Is 58,11).

CONTINUA A LEGGERE



ANNUNCIO

ANNUNCIO

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Per commentare bisogna accettare l'informativa sulla privacy.