Sanremo

Non solo Cally, sul palco dell’Ariston anche Paolo, rapper affetto da Sla…

Paolo Palumbo - Finalmente Abili

di Ida Giangrande

Mercoledì 5 febbraio un ospite speciale sul palco dell’Ariston. Lui è Paolo Palumbo e ha fatto della musica un inno di lode alla vita.

Tante le polemiche negli ultimi giorni sulla presenza del rapper Junior Cally sul palco dell’Ariston per questa 70° edizione del Festival di Sanremo. Ma per fortuna non è tutto nero come sembra e, anzi, arrivano anche ottime notizie. Mi riferisco alla presenza di Paolo Palumbo, il rapper 22enne di origini sarde che mercoledì 5 febbraio canterà sul prestigioso palco. Cos’ha di tanto speciale Paolo? È affetto da Sla e al Festival ci andrà grazie a una speciale rampa montata apposta per lui, e canterà sdraiato, puntando con le pupille il comunicatore verbale che da un anno gli ha ridato una voce, seppure artificiale. 

La Sla gli è stata diagnosticata a 17 anni, interrompendo di colpo tutti i suoi progetti per il futuro. Voleva diventare uno chef e stava per iscriversi alla scuola di alta cucina di Gualtiero Marchesi e invece, come sempre accade, la malattia irrompe aggressivamente nella sua vita e spezza le ali dei suoi sogni, di tutti tranne uno: partecipare al Festival di Sanremo. Ed eccolo qua con una canzone scritta e musicata da lui stesso intitolata “Io sono Paolo”. Non ha superato a Roma le selezioni di Sanremo Giovani, ma il suo messaggio ha colpito dritto al cuore Amadeus che lo ha invitato come ospite speciale. 

Il brano che porto è un inno alla vita, scritto con l’obiettivo di spronare chi si arrende al primo ostacolo. Se ho incontrato la musica è grazie alla malattia, all’inizio è stato il modo con cui cercavo di far sentire ciò che provo tutti i giorni combattendo la mia battaglia. Cantare all’Ariston è il regalo più bello che potessi ricevere, sono grato ad Amadeus, un uomo estremamente sensibile, dal cuore grande e sincero”. Dichiara in un’intervista al quotidiano Avvenire e subito dopo aggiunge: “La fede è il mio volo principale, il dono più grande che ho coltivato al giungere della malattia e nel momento più difficile ha salvato la mia anima. Credo profondamente e prego tanto, tutti i giorni. Prego perché i miei sforzi abbiano un senso nell’umanità. Prego ovviamente per i miei cari. Quanto a me, pregare per chiedere la grazia della guarigione sarebbe egoistico: Dio ha un disegno per tutti noi, se sono in questa condizione c’è un motivo preciso e questa consapevolezza mi basta”.




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