Coppia

Violenza contro le donne, l’unica soluzione è recuperare il canto dell’amore di Adamo…

San Giovanni Paolo II

(Foto: Rob Croes (ANEFO) [CC BY 4.0 (https://creativecommons.org/licenses/by/4.0)])

di Ida Giangrande

Oggi la società sembra apparentemente aver subito grandi mutamenti, le donne sono presenti in quasi tutti gli ambiti lavorativi, ma chiusa la porta di casa, qualcosa non funziona. Perché noi donne abbiamo conquistato il mondo senza tuttavia essere riuscite a trovare la giusta collocazione?

È la serata di martedì 4 febbraio, il sipario sul palco dell’Ariston si è da poco aperto sulla 70° edizione del prestigioso Festival di Sanremo. Un momento preceduto da critiche e polemiche su presunte affermazioni sessiste da parte del direttore artistico, Amadeus, e sulla presenza, tra i big in gara, del rapper Junior Cally, noto per le sue canzoni schiettamente violente contro le donne. Ma, improvvisamente, ecco comparire davanti alla platea raccolta in un religioso silenzio, Rula Jebreal, giornalista e scrittrice palestinese che dà il via ad un commovente monologo sulla violenza contro le donne fino alla dichiarazione che lascia tutti senza fiato: “Mia madre si è suicidata quando avevo 5 anni, dandosi fuoco. È stata brutalizzata e stuprata”.

È una storia toccante quella di Rula, di quelle che non vorremmo mai ascoltare, a cui, purtroppo, siamo tristemente abituati. In fondo dopo anni di lotta per l’emancipazione di genere, la cronaca spesso denuncia storie di barbare uccisioni e brutali violenze ai danni delle donne di tutto il mondo. Madri, amiche, studentesse, turiste sfruttate da organizzazioni criminali senza scrupoli, costrette a prostituirsi, a rinnegare la propria religione. Donne-oggetto nel mercato della pornografia, spose bambine, e poi ancora, donne mai nate proprio perché donne. Mi fermo qui, ma la lista delle violenze di genere potrebbe proseguire all’infinito fino a toccare quelli che per molti sono sentiti diritti inalienabili. Eppure sono trascorsi anni da quando il cammino per l’emancipazione ha preso il largo, anni da quando ci siamo conquistate il diritto al voto. Oggi la società sembra apparentemente aver subito grandi mutamenti, le donne sono presenti in quasi tutti gli ambiti lavorativi, vanno sulla luna, isolano il gene del Coronavirus, sono giudici, chirurghi, avvocati, vivono da protagoniste la scena del lavoro, ma chiusa la porta di casa, qualcosa non funziona e nella diatriba tra maschio e femmina ritornano i vecchi schemi, quelli che credevamo superati, fatti di sopraffazioni e silenzi, incomprensioni e liti furiose. Che cosa non ha funzionato? Perché noi donne abbiamo conquistato il mondo senza tuttavia essere riuscite a trovare la giusta collocazione? 

Dal chiaroscuro della storia mi sembra di leggere in filigrana la trama interrotta dell’ordito e quello che emerge è il volto di una donna a cui è stato sottratto qualcosa di decisivo per la sua stessa realizzazione, la relazione con il suo interlocutore privilegiato: l’uomo. Allo stesso modo anche lui risulta disorientato, smarrito, inquieto, come un’anima in pena che cerca la sua amata dopo averla perduta nelle viuzze buie del mondo. Qualche tempo fa ho avuto l’onore di approfondire Mulieris Dignitatem Lettera Apostolica di san Giovanni Paolo II scritta nel 1988. Un patrimonio immenso fatto di quella saggezza antropologica che trova d’accordo anche chi non crede. D’altro canto uno dei punti di forza di san Giovanni Paolo II era proprio la sua capacità di promuovere con autorevolezza la verità sull’uomo entrando nella mente e nel cuore anche di coloro che erano lontani dalla Chiesa. 

Alla scuola di un Santo, dunque, ho capito che cosa Dio intende per complementarietà tra uomo e donna. Come sposa e madre ho compreso quale grande e stupefacente meraviglia Dio mi ha donato nel momento in cui mi ha chiamata ad essere donna in relazione all’uomo e poi madre in relazione al padre. Nel dialogo con lui, il mio sposo, non solo ho scoperto la mia femminilità, ma posso intercettare anche i segni di quell’atavica somiglianza con Dio iscritta nel DNA dell’umanità. 

E sempre lì, in quelle parole che mi offrono ogni volta una chiave di lettura squisitamente nuova dei primi versetti della Genesi, ho la grazia di comprendere che l’inimicizia tra l’uomo e la donna è la prima, devastante ricaduta del peccato originale.  L’armonia tra i due è, infatti, la prima cosa che si rompe: “Verso tua marito sarà il tuo istinto ma egli ti dominerà!” (Gn 3,16).

Dunque, ecco il bandolo della matassa: la lotta di genere è diventata una lotta tra i generi. La rivendicazione del rispetto dell’identità femminile ha portato ad un’omologazione su quella maschile. L’uomo e la donna sono l’uno contro l’altro come due eserciti in battaglia. Superare tutto questo è possibile? Sì, è necessario ritrovare quell’antica armonia. Recuperare l’incanto e l’ammirazione con cui Adamo guardò Eva quando la vide per la prima volta, prima che il peccato contaminasse la bellezza del creato. Bisogna recuperare ad ogni costo la bellezza della relazione tra l’uomo e la donna, il piacere di un’alleanza dove il cuore si dilata abbattendo i confini dell’io per costruire la casa del noi. Solo a queste condizioni potremo sperare un giorno di polverizzare il muro di violenza e di omertà che soffoca molte donne. Solo così potremo sperare di tornare ad annunciare “cieli nuovi e terra nuova”.




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