CORRISPONDENZA FAMILIARE

di don Silvio Longobardi

Rula Jebreal e le sacre parole del Festival

10 Febbraio 2020

Rula Jebreal

Ho ascoltato in differita il discorso della Jebreal a Sanremo. Parole sincere, ma non sufficienti a farci vedere i diversi volti di quella violenza che può essere descritta come l’immagine di un drago che ha sette teste e dieci corna. Diciamola tutta, nelle parole della Jebreal la verità non appare in tutta la sua bellezza.

Non appartengo alla numerosa folla degli spettatori che in queste sere, immersi nel Festival di Sanremo, hanno ascoltato in religioso silenzio non solo le canzoni ma anche i discorsi proclamati con una solennità che dà alle parole una veste sacra. E difatti il confronto serrato e serio sui vari temi del vivere civile viene sostituito dal monologo con il quale la televisione pubblica propone quelle parole che hanno un’indiscussa autorità morale. A ben vedere, si tratta di una vera e propria liturgia laica, segno e preannunzio di quella new age che sempre più s’impone come l’unica religione del futuro prossimo. 

Non sono avvezzo a vedere questi spettacoli anche perché in casa non abbiamo la televisione. Avevo però letto che Rula Jebreal avrebbe declamato un monologo sulla violenza che colpisce le donne e mi interessava vedere come avrebbe affrontato un tema così delicato e, purtroppo, sempre attuale. Ho ascoltato, in differita, con grande rispetto per chi declamava quel testo – scritto da altri con maestria giornalistica – ma più ascoltavo e più cresceva quello scetticismo culturale che, con il passare degli anni, trova uno spazio sempre maggiore nei miei pensieri.

Le parole sono certamente belle e commoventi e sono anche capaci di strappare un applauso sincero ma non suscitano una reazione morale. Niente da dire, le parole sono accettabili, anzi lo sono fin troppo. Ma sono anche scontate, ripetono il messaggio ufficiale che attraversa i palazzi della politica, le pagine dei giornali, i salotti della cultura. Dicono cose vere ma non dicono tutta la verità. Parlano a tutti e a nessuno.

Il monologo è durato dieci minuti. Un tempo non breve in rapporto agli spazi televisivi e perciò sufficiente per mostrare o almeno annunciare la complessità dell’argomento. Quelle parole sono senza dubbio sincere, tanto più che contengono un dramma personale, ma non aprono la porta della realtà, non ci fanno vedere i diversi volti di quella violenza che può essere descritta come l’immagine di un drago che ha sette teste e dieci corna. Diciamola tutta, nelle parole della Jebreal la verità non appare in tutta la sua bellezza.

Leggi anche: Violenza contro le donne, l’unica soluzione è recuperare il canto dell’amore di Adamo…

Se avesse voluto andare fino in fondo, e non restare in una generica denuncia che mette sul banco degli imputati un indistinto genere maschile, la Jebreal avrebbe dovuto parlare anche delle donne che sono costrette ad abortire dal silenzio e dall’indifferenza della società, donne che portano nella carne e nella psiche un dolore che mai avrebbero voluto affrontare. Avrebbe dovuto parlare delle giovani ragazze cristiane che, in Nigeria o in Pakistan o in altri luoghi, vengono rapite e costrette a sposare uomini musulmani che abusano di loro e le costringono a convertirsi. Avrebbe dovuto parlare delle bambine che in India vengono soppresse prima della nascita proprio perché di sesso femminile. I dati statistici sono devastanti: sono 2 milioni ogni anno. E poco importa se riguardano un Paese lontano.

Avrebbe dovuto parlare della violenza che le donne fanno ad altre donne nel mondo del lavoro e in tutti gli altri ambiti in cui si trovano fianco a fianco. Avrebbe dovuto parlare dell’esasperata conflittualità dei processi di separazione coniugale che spesso lascia agli uomini solo le briciole generando risentimenti e rancori che, in alcuni casi, esplodono nella più brutale e ingiustificata violenza. 

E infine, ma non ultimo, avrebbe dovuto almeno accennare a quella cultura che, attraverso la pubblicità e la pornografia, usa la donna come oggetto sessuale, stracciando così la sua dignità. Avrebbe dovuto dire che la prostituzione è un’altra forma di quella violenza che lei giustamente condanna.

La Jebreal avrebbe dovuto parlare di molte altre cose che avrebbero dato concretezza alla sua denuncia e forse avrebbero invitato tutti a riflettere. Sono tutte cose che il mondo culturale, lo stesso da cui proviene la giornalista, non vuole ascoltare. Meglio fermarsi allora alle parole che appartengono al politicamente corretto, quelle che parlano a tutti ma non toccano nessuno. Ed ecco che scatta l’ovazione del pubblico. Tanto non costa niente né chiede di cambiare qualcosa.

La verità è ben più ampia di quelle poche e scontate parole declamate sul palco del Festival. Se l’amore viene ferito, se non è vissuto nella sua pienezza, se continuiamo a coltivare un individualismo prepotente, dovremmo sempre fare i conti con la violenza, e saremo costretti tante altre volte ad aprire il libro nero in cui troviamo tutti quei capitoli in cui la relazione affettiva non è vissuta nella logica della reciproca accoglienza ma in quella del possesso.

È il caso di dire a tutti che la violenza nasce negli anfratti più nascosti della psiche umana, nessuno di noi è veramente in grado di vincere questo impeto brutale. Non potranno farlo i bei discorsi e neppure le leggi più severe. Abbiamo bisogno di ben altro. Abbiamo bisogno di un Altro.




Aiutaci a continuare la nostra missione: contagiare la famiglia della buona notizia

Cari lettori di Punto Famiglia,
stiamo vivendo un tempo di prova e di preoccupazione riguardo il presente e il futuro. Questo virus è entrato prepotentemente nella nostra quotidianità e ci ha obbligati a rivedere i tempi del lavoro, delle amicizie, delle Celebrazioni. Insomma, ha rivoluzionato tutta la nostra vita e non sappiamo fin dove ci porterà e per quanto tempo. Ci fidiamo delle indicazioni che provengono dal Governo e dagli organi sanitari preposti ma nello stesso tempo manifestiamo con la nostra fede che “il Signore ci guiderà sempre” (cfr Is 58,11).

CONTINUA A LEGGERE




ANNUNCIO


Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Per commentare bisogna accettare l'informativa sulla privacy.